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Ottobre: finalmente la zucca! Un ortaggio magico e un Pumpkin Bread

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La zuccaè un ortaggio dono che la scoperta delle Americhe fece all’Europa anche se, a dire il vero, già Greci e Romani conoscevano delle varietà di zucca delle quali gli Etruschi erano avvezzi utilizzatori: sia Plinio che Discoride ne erano dei grandi estimatori tanto da definire questo semplice ortaggio “refrigerio della vita umana, balsamo dei guai”
Per i Conquistadores Spagnoli fu una novità, assieme al mais ed al cacao, anche se le popolazioni peruviane la conoscevano e l’utilizzavano fin dal 1200 a.C.: rivestiva infatti un ruolo molto importante nell’alimentazione delle popolazioni andine prima e indiane poi, qualità che i coloni europei impararono a conoscere, unitamente agli utilizzi ed ai metodi di coltivazione.

La zucca infatti presenta un bassissimo contenuto calorico, visto che praticamente non contiene grassi, è molto ricca di vitamine come la A, la C ed oligoelementi fondamentali per l’organismo come calcio, fosforo, sodio, potassio e ferro; la curcubitina presente al suo interno è un ottimo vermifugo, calmante per le infiammazioni dell’apparato digerente, mentre succo e polpa insieme possono essere utilizzati come diuretici. Dai semi di zucca si ricava un olio che può essere utilizzato nell’alimentazione e per curare le infiammazioni della pelle e con la polpa cruda si ottiene un’ottima base per la preparazione casalinga di maschere di bellezza tonificanti ed illuminanti.


A parte quelle piccole ornamentali che sempre più spesso troviamo nei mercati per arredare la nostra casa in autunno le varietà di zucca sono davvero molte: Butternut o noce di burro, Big Max, Lunga di Napoli, Mammoth, Montovana, Marina di Chioggia, Pasticcine gialle, Turbante turco ed infine la mitica Jack O’Lantern, coltivata principalmente per la festa di Halloween, in quanto si svuota e si lavora molto facilmente per consentire l’alloggiamento di candele e lanterne. In realtà, fin da tempi immemori, era consuetudine in occasione dell’Equinozio d’autunno, e con la conseguente chiusura delle attività agricole in vista dell’inverno, porre alle finestre delle abitazioni, ed ai confini con i boschi che circondavano i villaggi, zucche svuotate e trasformante in lanterne così da “indicare la strada” ai cari familiari defunti che avrebbero protetto i campi ed i semi durante l’inverno, consentendo splendide fioriture e ricchi raccolti in primavera ed in estate.

Ma perché la zucca è da sempre stata considerata un ortaggio quasi magico? Il suo interno, così ricco di semi, simboleggia fin da epoche lontanissime rinascita, salita al cielo, abbondanza e quindi auspicio prezioso ad una nuova vita, come fa la natura che si riposa sotto la neve dell’inverno per poi esplodere in tutta la sua potenza e bellezza con l’arrivo della primavera. Inoltre la zucca è un ortaggio a “spreco-zero” e della quale non si butta via nulla, come ben sapevano i mercanti dell’antica Roma che riuscivano a trasformarla, una volta svuotata ed essiccata, in un prezioso e resistente contenitore.

 

Naturalmente la zucca sa essere preziosissima anche in cucina e diventare protagonista di moltissimi piatti: pensate ai tortelli mantovani, alla zucca al forno arricchita con uvetta e pinoli della tradizione gastronomica ebraica, ai morbidi risotti, ai profumati sformati, ai colorati gnocchi ed alle golose frittelle di zucca fritta. E naturalmente non ci si poteva scordare dell’aperitivo dove i semi di zucca, tostati e salati, diventano goloso snack.

Il Pumpkin Bread, o pane dolce alla zucca, proposto oggi è un pane umido ed aromatico, vecchia ricetta del Maine, che non manca mai sulle tavole delle Feste ed è anche usato come piccolo dono da portare quando si è ospiti di amici e parenti. L’uso di un particolare mix speziato infine, consuetudine nei dolci anglosassoni, è da sempre di buon auspicio.

Pumpkin Bread o Plumcake speziato con zucca (anche per Halloween :)

Dosi: per 8 persone
Preparazione: 40’
Cottura: 1 h
Difficoltà: media

Ingredienti
300 gr di polpa di zucca (già cotta e ridotta in purea)
200 g di farina 00 o debole
250 g di zucchero 
120 g di burro 
3 uova Bio
1 cucchiaino di cannella in polvere
1/2 cucchiaino di noce moscata
1/2 di zenzero in polvere 
oppure un cucchiaio di spezie per panpepato o cookies
1 cucchiaino di lievito 
1 cucchiaino di bicarbonato 
1 cucchiaino di sale
2/3 cucchiai di acqua a temperatura ambiente
2/3 cucchiai di mandorle a lamelle per la decorazione

Preparazione
Cuoci al vapore per circa 20’ la zucca tagliata a quadrotti e con il frullatore ottieni una purea morbida. Lascia raffreddare per almeno 10’.
Nel frattempo accendi il forno statico a 180° e rivesti con carta forno una stampo da plumcake max 22 cm di lunghezza.
Setaccia un paio di volte la farina, il lievito, il bicarbonato, le spezie e il sale così che queste si amalgamino bene.
Con un frullino elettrico o nella planetaria monta il burro con lo zucchero per qualche minuto fino ad ottenere una crema morbida.
Unisci il purè di zucca e successivamente incorpora le uova, una alla volta. Sempre mescolando unisci infine la farina alternando con l’acqua.
Riempi lo stampo con il composto ottenuto, ricopri con le mandorle a lamelle e cuoci nel forno statico già caldo per almeno 1h o fino alla prova stecchino.


Sforna, fai raffreddare sopra una gratella e servi il Pumpkin Bread cosparso di zucchero a velo e con panna fresca appena montata e profumata con un po’ di cannella.

Noblesse Oblige
La zucca è un bell’ortaggio tondo e dall’aspetto simpatico e, come abbiamo letto prima, dalle molteplici qualità che l’hanno resa strumento e nutrimento per molti secoli. Forse è per questo che Charles Perrault, nella celebre fiaba di Cenerentola la fece diventare addirittura la preziosa carrozza di una futura Principessa.

Mix speziato fai-da-te
Vuoi avere la tua miscela speziata da utilizzare anche la Pumpking Pie o i Gingerbreaf, i classici uomini natalizi di origine angolsassone? Allora miscela nella stessa quantità cannella, chiodi di garofano, cardamomo, macis, zenzero, pimento in polvere, mescola bene e conserva in un vasetto di vetro ed ogni volta che vorrai profumare i tuoi dessert per Halloween, e fino a Natale, ti basterà aggiungere all’impasto un cucchiaio di miscela profumata.

"Anonimo Veneziano" ovvero storie di amore e di forza, di donne e di baccalà per l'Mtchallenge #60

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La sfida #60 dell'Mtchallenge, lanciata dal Mai Esteve, verte sulla tapitudine ovvero il "piatto che meglio rappresenta lo stile di vita della Spagna tutta/ Cataluna sobra todos."
Nel suo post magistrale Mai ci spiega che si fa presto a dire "tapas" e ci porta per mano, e pazientemente, in un mondo gastronomico gaudente e complesso chiedendoci quindi di "tapeare" in ben tre modi. 
Ma chiede anche qualcosa di più ovvero di scrivere le emozioni e l'ispirazione per la preparazione del piatto, come accadde qualche mese fa a bordo di un peschereccio dopo una scorpacciata di Broeto.

Ecco quindi la mia proposta, ispirata proprio da Mai, incontrata qualche tempo fa a Milano, durante il Bake Off e dedicata a tutte quelle donne della cui forza interiore nel tempo mi sono nutrita ed innamorata.


Non ho mai potuto godere molto della Spagna, solo un paio di viaggi di lavoro, toccata e fuga a Madrid, giusto il tempo di scoprire la tecnologia del quarto terminal dell'aeroporto cittadino e la bellezza del museo del Prado
Ho cercato quindi nella memoria e nella mia biblioteca ed improvvisamente eccomi vestita di rosso e di nero, mentre lo specchio mi restituiva l'immagine di una pallida bimba di otto anni con addosso un bellissimo costume di carnevale da spagnola, una finissima mantilla in testa e un paio di fondi di bottiglia sul naso.

Conosco invece Barcellona, pur non essendoci mai stata, grazie a Pepe Carvalho, l'investigatore catalano nato in Galizia alla fine della Guerra Civile quando, nel 26 gennaio 1939, dopo anni e mesi di lotta il nemico entrò in città, travolgendo l'incredula e rassegnata Nadine, la cuoca di Buenaventura Durruti, che prima di fuggire esule e salva da una "missione di sangue e speranza" deciderà di salutare i rivoluzionari compagni rimasti "sporcandosi le mani di farina, di zucchero, di cannella e di amore".

Lo stesso amore di Charo (Rosario García López), amante di Pepe e prostituta di professione che lascia l'attività e Pepe, dopo anni vissuti in modo più o meno disincantato, accettando la normalità che un lavoro come centralinista le poteva offrire.

E mentre le emozioni si mettevano ai fornelli, in un inizio di ottobre insolitamente freddo e con la prima acqua alta a Venezia, ecco prendere forma "Anonimo Veneziano"in una città, Venezia appunto, femmina in primis e donna poi, come Nadine e come Charo, che hanno affrontato le tragedie della vita, accettando di traghettare il corpo verso lidi più placidi e con la consapevolezza che l'anima, in perenne subbuglio, non si placherà mai. Celata, anonima. Appunto.

E' quella forza che tutto crea e tutto travolge. E trasforma.
La stessa forza che ho "respirato" accanto a Mai mentre, silenziosa, vestita completamente di nero come un'ombra furtiva, con gli occhi accesi ad osservare tutto, scattava le foto alle Naked che i giudici stavano degustando a Sweety. Non ho sentito rumori, quasi, neppure quelli della macchina fotografica, tanto sono stata rapita dall'energia che ogni suo gesto esprimeva.
Non siamo riuscite a scambiare più di un fugace sorriso, ma da quell'increspare d'occhi ho sentito una forza incontenibile, femmina, diventata donna nel momento in cui il sorriso si aprì.
Ancora amore, ancora passione celata nella sua essenza.


Un trittico di baccalà per la sfida del mese di ottobre, quindi, un percorso emozionale, molto personale, che ha deciso di eleggere lo stoccafisso a protagonista in quanto nelle sue "Ricette Immorali"Manuel Vazquez Montalban (papà di Pepe) definisce il baccalà una mummia, un miracolo che mani sapienti e l'acqua riportano in vita, trasformandola, materia malleabile, come il marmo nelle mani di Michelangelo. 
Un ingrediente, una sequenza di piatti, adatto a tutti gli approdi della vita in quanto, sempre secondo Montalban, vivere non è necessario, ma navigare si.

"Anonimo Veneziano" ovvero Pincho di baccalà al profumo di cardamomo in insalata di fiori eduli, Montadito di baccalà mantecato in verticale di pepe, Tapa di insalata di baccalà in saor di aceto di miele al rosmarino, uvetta alla malvasia e pinoli di cedro, con la sequenza di assaggio riportata nella sequenza delle ricette e si tratta, in realtà, di un piatto da consumare da soli, in silenzio, in modo che l'intima esperienza di materia-linguaggio di una ricetta non si trasformi in una caotica "gita in torpedone".

Così da far propria la forza che è riuscita a trasformare una lista di ingredienti in un messaggio d'amore.


Pincho di baccalà al profumo di cardamomo in insalata di fiori eduli, Montadito di baccalà mantecato in verticale di pepe, Tapa di insalata di baccalà in saor di aceto di miele al rosmarino, uvetta alla malvasia e pinoli di cedro

Ingredienti e preparazione dello stoccafisso (base delle ricette)
Uno stoccafisso di circa 800 g, ammollato per almeno 3 giorni, cambiando l'acqua ogni 8 ore (il disciplinare prevede in realtà un filo d'acqua continuo per 5 giorni)
2 foglie di alloro
2 bacche di ginepro
2 chiodi di garofano
olio di semi di lino bio

In un sacchetto per sottovuoto inserire i 2/3 dello stoccafisso ammollato, privati della pelle e della lisca e cuocere, inserire le spezie, gli aromi e l'olio, sigillare e cuocere nel forno a vapore per 15' a 60°. Abbattere in negativo e far riposare tutta una notte.
Aprire il sacchetto ed asciugare: abbiamo la materia prima per il Pincho e per la Tapa.
La parte restante dello stoccafisso inseritela in una casseruola con 250 ml di latte intero e 750 ml, portate a bollore e cuocete per circa 25' e far raffreddare completamente nel liquido e questa è la materia prima del Montadito.  

Pincho di baccalà al profumo di cardamomo in insalata di fiori eduli
Ingredienti
250 g di stoccafisso
250 g di patata cotta a vapore
1 seme di cardamomo
sale in fiocchi
pane grattugiato
olio di semi di vinacciolo
germoglio di barbabietola
petali di rosa rossa eduli
petali di gerbera gialla eduli

Preparazione
Passare al tritacarne per due volte tutti gli ingredienti e formare con uno scovolino delle polpettine, passarle nel pane grattugiato e friggerle nell'olio di vinacciolo già caldo a 180°.
Far asciugare su carta assorbente e tenere al caldo.
Comporre un'insalata con i germogli ed i petali e condirla con un'emulsione ottenuta con un'arancia e pochi grammi di zenzero passati all'estrattore ed emulsionata con la stessa quantità di olio di semi di lino.
Infilzare tre polpettine con uno stecchino in bambù e servire con l'insalata utilizzando un vecchio bicchiere da champagne.


Montadito di baccalà mantecato in verticale di pepe
Per la challa (ricetta adattata di Emmanuel Hadjiandreou che pubblicherò fra qualche giorno)
Ingredienti
270 g di Petra 3
80 ml di acqua calda
30 g di zucchero 
30 ml di olio di semi di girasole bio
3 g di lievito di birra disidratato
1 uovo bio
2 tuorli bio
1/2 cucchiaio di sale fino
1 cucchiaio di semi di papavero
1/2 cucchiaino di sale fino

Preparazione
In una ciotola unire gli ingredienti secchi, farina, zucchero, sale.
In una ciotola sciogliere il lievito nell’acqua calda ed unire l’uovo con il tuorlo sbattuti.
Versare gli ingredienti secchi in quelli umidi, mescolare bene, unire l’olio, farlo assorbire bene, coprire con un panno e lascia riposare per 10.
Riprendere l’impasto, tirare verso l’esterno un pezzo di impasto, portarlo al centro e ripetere l’operazione per 8 volte ruotando la ciotola. Coprire, far riposare per 10’ e ripetere per altre due volte, osservando sempre il riposo di 10’.
Su otterrà una palla liscia e composta, coprirla con pellicola e lasciarla riposare per un’ora o fino al raddoppio.
Trascorso questo tempo trasferire l’impasto sulla spianatoia infarinata, sgonfiarlo, formare un salsicciotto e dividerlo in 3 o quattro pezzi, allungarli ed intrecciarli fra loro oppure dare al salsicciotto una forma di chiocciola e trasferirlo sulla teglia coperta da carta forno.
Spennellare il pane con il tuorlo sbattuto rimasto e spolverare di semi di papavero.
Coprire con pellicola e far riposare l’impasto per 40’ o fino al raddoppio.
Accendere il forno a 200° ed inserire nella parte più bassa una teglia, così da scaldarla.
Infornare la challa, versare una tazza di acqua fredda nella teglia: il vapore che si otterrà renderà croccante la superficie del pane.
Cuocere per 20’ o fino alla doratura della superficie.

Sfornare e far raffreddare sopra una gratella prima di tagliare la Challa a fette e ottenerne con un compassata di 3-4 cm di diametro delle tartellette da tostare in padella calda.

Per il baccalà mantecato
Ingredienti
250 g di stoccafisso ammollato
1 grano di pepe nero di Sarawak
2 grani di pepe bianco di Sarawak
semi interni di una bacca di pepe di Selim
Sale in fiocchi di Mothia
300 ml di olio di semi di vinacciolo

Preparazione
Scolare lo stoccafisso dal liquido di cottura e trasferirlo nella planetaria con la frusta a foglia, unire la polvere di pepe ottenuta pestando al mortaio le diverse varietà, un pizzico di sale di fiocchi di sale e montare con una velocità media aggiungendo a filo 300 ml di olio di semi di vinacciolo e il liquido filtrato di cottura, alternando gli ingredienti fino all'assorbimento di tutto l'olio così da ottenere una crema morbida ma compatta.

Con un porzionatore da gelato distribuire il baccalà mantecato sulla tartelletta di pane e servire in un vecchio bicchiere da champagne.


Tapa di insalata di baccalà in saor di aceto di miele al rosmarino, uvetta alla Malvasia e pinoli di cedro
Ingredienti
1 cucchiaio di uvetta ammollata a lungo in due cucchiai di Malvasia dolce (io Colli Piacentini)
Tostare 1 cucchiaio di pinoli di cedro in una lionese molto calda.
3 cucchiai di aceto di miele al rosmarino (mielithun.it)
3 cucchiai di Malvasia dolce
sale in fiocchi

Preparazione
Spezzettare con le mani lo stoccafisso cotto a bassa temperatura rimasto e sfumarlo velocemente nella lionese dove avete tostato i pinoli, sfumando con aceto di miele e con il vino. Regolare di sale.
Servire con l'uvetta ammorbidita ma non bagnata ed i pinoli profumando con una macinata di pepe bianco di Selim utilizzando un vecchio bicchiere da champagne.



Cosa ne facciamo dei morti? Anche festeggiarli con i colori della Natura che entra in letargo con un pane al mais e una composta di zucca allo zenzero

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Cosa ne facciamo dei morti?

E’ la domanda che da sempre si è posto l’uomo nell’affrontare, con le armi spuntate che si ritrova, il mistero della morte e dell’assenza di chi fino a pochi minuti prima era palpitante di vita.
Da vivi, chi più e chi meno, si è sempre molto affaccendati e la morte, oltre all’assenza, porta con sé un’altra consapevolezza ovvero l’inattività.
Un problema nel problema, quindi: morti e fermi. Una noia. Mortale, verrebbe da dire.

C’era la necessità di superare pragmaticamente tutto questo e di poter donare all’assenza ed all’inattività una valenza diversa: l’amore che aveva unito in vita continuerà sotto forma di attenzione e protezione con l’assenza e nel ciclo perenne ed immutabile della Vita e della Natura l’accudimento diventerà quel sentimento che consentirà ad uomini ed animali di elevare la propria Anima, di dare un senso alla propria presenza, al proprio passaggio.
 

I colori accesi e carichi di vita che la Natura offre in questo periodo dell’anno sono una sorta di canto del cigno della luce, la fine di un periodo lungo, che inizia subito dopo il Solstizio d’Inverno, in cui le tenebre vengono giorno dopo giorno sconfitte dalla permanenza del Sole, divinità temuta ed amata da migliaia di anni. 
Con l’Equinozio d’Autunno hanno fine anche tutte le attività frenetiche che la necessità dell’accudimento e del sostentamento impongono e con il riposo della Natura ha inizio anche il riposo dell’uomo: si raccolgono le olive mentre la vendemmia è già avvenuta, i fienili sono carichi di fieno e granaglie, la dispensa ricca di conserve e composte e con le castagne, ultimo dono del bosco, si preparano pani e biscotti mentre fra qualche giorno, l’estate di San Martino, farà calare il sipario su buio e silenzio.

 

Buio e silenzio che custodiranno i semi messi a dimora nella terra umida ed ancora ebbra del calore dell’estate, stesso buio e silenzio che condizionano la presenza di chi non c’è più.
Nella notte del 31 ottobre si chiede ai nostri morti di prendersi cura dei semi, del raccolto e del nostro futuro e ci si affida, scambiando per un momento i ruoli. Le finestre delle nostre case si illuminao improvvisamente di grandi zucche, intagliate e svuotate, ortaggio magico e propiziatorio, assieme alle fave ed ai ceci, che indicheranno la strada a chi non c’è più. I tavoli delle nostre cucine verranno apparecchiati con dolci e tanta acqua così da dare ristoro ed i dolcetti, preparati con mani amorevoli, saranno il testimone che passerà dalle mani dei morti a quelle dei bambini, le cui anime candide ed innocenti sapranno raccogliere la testimonianza ed il sorriso del nonno con il quale si aveva giocato a lungo, felici e complici.

 

La cultura del consumo e dell’ignoranza ha conferito alla notte dei Morti una connotazione macabra, orripilante, sanguinolenta, tripudio del maligno, quando in realtà si tratta di un momento carico di mestizia, di caldi ricordi e dove i vivi trasformeranno i luoghi in cui i morti riposano in cimiteri carichi di fiori, di presenze, di chiacchiere e di sorrisi.

Perché la morte è l’unica cosa certa dal momento in cui usciamo dal ventre materno e sarà comunque una presenza costante. Da temere e onorare.

La mia ricetta per il primo novembre, visto che Halloween è finalmente passato, è un ringraziamento alla Natura, un tripudio di colori e di profumi, in attesa che questo lungo periodo, che terminerà con l’Epifania, lasci il passo alla Luce ed ai germogli.


Pane al mais e composta di zucca allo zenzero

Una coppia perfetta formata da un pane davvero gluten free sia per la colazione che per l’aperitivo con i caldi colori del foliage autunnale e da un’insolita confettura, dolce e leggermente speziata che si presta ad essere utilizzata non solo per accompagnare il pane al mais ma anche per la preparazione di crostate e biscotti. Un consiglio: abbinate alla coppia una selezione di formaggi e magari, perchè no, qualche salume di ottima qualità.

Dosi per 6 porzioni
Difficoltà: minima
Preparazione: 20’ per il pane al mais, 20’ per la composta di zucca 
Cottura: 35’ per il pane al mais, 40’ per la composta di zucca
Riposo: si, 2h per il pane, 4h per la composta di zucca

Ingredienti e preparazione pane al mais senza glutine
300 g di farina di mais
75 g di fecola di patate
75 g di mais fresco
4 g lievito di birra essiccato
280-300 ml di acqua tiepida
1 cucchiaino di sale iodato
1 cucchiaio di semi di zucca

Preparazione
In una ciotola mescolare le farine e il lievito, unire l’acqua impastando con un cucchiaio ed alla fine aggiungere il sale e il mais sgocciolato. Ottenere un composto uniforme, coprire con pellicola e far riposare coperto in un luogo tiepido per circa 1h.
Spennellare di olio di semi una tortiera di 22 cm di diametro, o rivestirla di carta forno, versare il composto e far lievitare per un’altra ora.
Accendere il forno a 230° inserendo una ciotola d’acqua nella teglia riposta nella parte più bassa del forno.
Abbassare il forno a 220°, infornare la tortiera dopo aver ricoperto la superficie con i semi di zucca, versare l’acqua calda nella teglia così da creare il vapore che consentirà al pane di sviluppare una bella superficie croccante.
Cuocere per 35-40’ o fino alla doratura.
Sfornare, far raffreddare sopra una gratella prima di tagliare e servire con i semi di zucca.

Ingredienti e preparazione per la composta di zucca e zenzero
500 g di polpa di zucca pulita, privata dei semi e dei filamenti
15 g di radice di zenzero fresca
1 seme di cardamomo
1 limone Bio
150 g di zucchero di canna 
150 g di zucchero semolato

Dal limone ottenere il succo e le zeste.
Tagliare la polpa della zucca a pezzettini regolari e trasferirla in una casseruola, unire entrambi gli zuccheri, le zeste, la bacca di cardamomo aperta ed il succo di mezzo limone, coprire con della pellicola da cucina e fate riposare per qualche ora.
Mondare e grattugiare la radice di zenzero fresca.
Unire lo zenzero alla zucca, togliere il cardamomo, portare ad ebollizione, abbassare la temperatura e continuare la cottura a fuoco dolce per circa 40’ o fino a quando il composto non si sarà addensato.
Versare la composta in barattoli piccoli sterilizzati precedentemente, chiudere con un coperchio pulito, capovolgere così da ottenere naturalmente il sottovuoto e conservare al buio un paio di settimane prima di consumarla.


Riso al salto e brodo di carne: tecnica e riciclo nelle video ricette smart del venerdì

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Chi l’avrebbe mai detto che un piatto servito negli anni ’70 nel blasonato ristorante Savini, frequentato dalla Milano da bere del dopo Scala, è in realtà un piatto del riciclo? 
Si tratta infatti di un colpo di genio dello chef che, durante un servizio, si inventò un modo insolito di servire il riso allo zafferano avanzato. 
Un piatto profumatissimo e molto, molto glamour.

Nel video smart tutti i suggerimenti per eseguire il piatto alla perfezione mentre, di seguito, gli ingredienti e le dosi per quattro persone.


RISO AL SALTO

Dosi per 4 persone
Difficoltà: media
Preparazione: 10’
Cottura: 30’
Vino consigliato: Gavi DOCG Ca' Del Plin

Ingredienti
300 g riso Arborio Bio
40 g di cipolla tritata 
vino bianco secco
brodo di pollo o di manzo o acqua 
50 g di grana grattugiato 
2 bustine di zafferano in polvere
50 g di burro
olio extravergine d’oliva
sale iodato e pepe nero macinato al momento

Preparazione
Stufare per qualche minuto la cipolla tritata in una casseruola velata di olio, aggiungere il riso arborio e tostarlo. 
Sfumare il riso con mezzo bicchiere di vino bianco ed una volta evaporato aggiungere il brodo caldo o l’acqua e continuare la cottura per circa 16 minuti.
A metà cottura unire lo zafferano sciolto precedentemente in un mestolo di brodo e mescolare.
Finire la cottura aggiungendo il Grana grattugiato, 20 g di burro e una macinata di pepe nero.
Togliere dal fuoco e mantecare bene.
Versare il riso su un vassoio allargandolo bene su tutta la superficie, così da farlo raffreddare completamente.
Dividere il riso in 4 parti per preparare i 4 tortini.
In una padella del diametro di circa 15 cm far sciogliere un velo di burro, versare una parte di riso e compattarlo, dandogli una forma tonda.
Cuocere per 5 minuti da un lato, aiutandosi con un piatto e facendo molta attenzione far girare il riso e continuare la cottura per altri 5 minuti dorando anche l’altro lato.
Cuocere con lo stesso procedimento anche gli altri tre tortini e servire.

E che brodo si utilizza per un piatto come questo? Sicuramente un signor brodo di carne e, se ve lo siete perso, ecco il tutorial che ve ne racconterà tutti i segreti.


Buona visione e buon fine settimana a tutti!

Marinetti, la cucina futurista, qualche menù e "Questanottedame"

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Era il 12 gennaio 1910 quando in occasione di un congresso futurista tenuto al Politeama Rossetti, a Trieste, i commensali decisero di invertire l’ordine delle portate: partendo dal caffè e concludendo con gli antipasti e gli aperitivi. “Per non llimitare il senso della tattilità, fu eliminato l’uso delle posate. Era il capovolgimento di tutto.” Il menù della cena a rovescio prevedeva:
Caffè
Dolci Memorie frappées
Frutta dell’Avvenire
Marmellata dei gloriosi defunti
Arrosto di mummia con fegatini di professori
Insalata archeologica
Spezzatino di passato con piselli esplosivi in salsa storica
Pesce del Mar Morto
Grumi di sangue in brodo
Antipasto di demolizioni
Vermouth

In realtà l’idea del “capovolgimento del tutto” si presentò al grande pubblico un anno prima quando, il 20 febbraio 1909, il prestigioso Le Figarò iniziò la pubblicazione a puntate de “Il manifesto futurista” il cui autore, Filippo Tommaso Marinetti, voleva rompere con la cultura borghese dell’epoca, auspicando una pulizia del mondo dalle mollezze che lo rallentavano e l’avvento di un prossimo futuro tutto ispirato dall’industria, dalla velocità e dal progresso. 


Ecco il fulcro del Manifesto:
  1. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.
  2. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
  3. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
  4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un'automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un'automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
  5. Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
  6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali.
  7. Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
  8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente.
  9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
  10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
  11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, e le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall'Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari. Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.


Come poteva la cucina essere risparmiata da questa ondata “travolgente e incendiaria”? 
Non poteva, naturalmente, ed i primi esperimenti gastronomici avvennero sopratutto in Francia, ad opera di chef famosi come Jules Maincave che, nel 1913, pubblicò su “Fantasio” il “Manifeste de la cuisine futuriste” e sempre sulla stessa rivista qualche mese prima Apollinaire aveva scritto de "Le cubiste culinaire" in cui si anticipava l’idea di creare una cucina che fosse capace di suscitare sensazioni controverse ed insolite. Fu lo stesso Marinetti, qualche tempo più tardi, a riprendere gli scritti di Mainclave, definito “geniale artista del palato”, e per rispondere alle sollecitazioni dell’avanguardia parigina decise che era giunto il momento di rinnovare i palati italiani.

Il progetto rivoluzionario si scontrò con la Grande Guerra che di certo non risollevò la realtà italiana caratterizzata da un proletariato urbano-industriale che rappresentava una minoranza rispetto al consistente proletariato rurale e da un analfabetismo fortemente diffuso. Chi doveva combattere con le quotidiane difficoltà di mera sopravvivenza subiva meno il fascino della sveglia culturale che il Manifesto si proponeva di far suonare.

Occorreva un luogo che potesse divenire una sorta di tempio della cucina futurista, una trincea dalla quale lanciare l’offensiva in forza contro la vecchia cucina ma non poteva essere un “volgare ristorante”: era necessario un ambiente artistico che potesse ospitare anche serate di poesia, di pittura e di moda futurista. E la scelta di Marinetti cadde su la Taverna del Santopalato, a Torino, dove l’8 marzo 1931 venne servito il primo pranzo futurista, ispirato agli scritti di Apollinaire, un misto fra gastronomia, allegoria e fantastico.
Il locale venne arredato ed allestito secondo i desiderata di Marinetti, seguito in questo dall’amico e solidale Fillìa e dall’architetto Diulgheroff, e fu trasformato nel regno dell’alluminio che “genererà un’atmosfera che sarà il riassunto della vita meccanica moderna con lo scopo preciso di passare dalla teoria alla pratica”: 

“La Taverna Santopalato di Torino, prima ancora di essere inaugurata, raggiungeva una notorietà mondiale per l’annunciata realizzazione della cucina futurista. Intanto i lavori procedevano e l’ambiente si formava nel dominio preponderante dell’Alluminio italiano “Guinzio e Rossi”: dominio che doveva dare al locale una atmosfera di metallicità, di splendore, di elasticità, di leggerezza ed anche di serenità. Senso cioè della vita di oggi dove il nostro corpo e il nostro spirito hanno bisogno di trovare l’affinamento, la sintesi e la traduzione artistica di tutta l’organizzazione meccanica preponderante. L’alluminio è il più adatto e il più espressivo dei materiali, racchiude queste doti essenziali ed è veramente un figlio del secolo dal quale attende gloria ed eternità al pari dei materiali “nobili” del passato”. Nella Taverna Santopalato si delineava perciò una pulsante struttura di alluminio e questo non era freddamente utilizzato a ricoprire dello spazio ma serviva come elemento operante dell’interno: alluminio dominante, agile statura di un corpo nuovo, completato con i ritmi della luce indiretta. La luce è pure una delle realtà fondamentali dell’architettura moderna e deve essere “spazio”, deve far parte vivente con le altre forme della costruzione.
Nel corpo dell’alluminio la luce serviva dunque come sistema arterioso, indispensabile allo stato d’attività dell’organismo ambientale. Tutto concorreva alla competizione dell’interno: i grandi quadri pubblicitari, i tendaggi, i vetri lavorati, gli oggetti diversi” (Marinetti, Fillìa, La cucina futurista, cit. pp 92).

Un luogo nuovo per un menù nuovo ispirato, nuovamente, da un francese, Anthelme Brillant-Savarin, che nella sua affermazione “si pensa, si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia” (Fisiologia del gusto) offre ai futuristi il filo conduttore per demolire le abitudini degli italiani a tavola.

Come prima cosa, quindi, morte alla pastasciutta, simbolo dell’italico menù, “assurda religione gastronomica”, alimento ingozzate e paralizzante colpevole di rendere il popolo italiano, oramai lanciato verso il futuro, un cubo massiccio impiombato da una compattezza opaca e cieca. L’italiano doveva essere rapido, agile ed elastico per incarnare passione, tenerezza, luce, volontà, slancio e tenacia eroica. Come i leggerissimi treni di alluminio che sicuramente nel tempo avrebbero sostituito i pesanti e vecchi treni costruiti con il ferro, il legno e l’acciaio.

Il pranzo perfetto esigeva quindi:
  • un’armonia originale della tavola (cristalleria, vasellame, addobbo) coi sapori e colori delle vivande
  • l’originalità assoluta delle vivande.
  • l’invenzione di complessi plastici saporiti, la cui aroma originale di forma e colore nutra gli occhi ed ecciti la fantasia prima di tentare le labbra.
  • l’abolizione della forchetta e del coltello per i complessi plastici che possono dare un piacere tattile prelibate.
  • l’uso dell’arte dei profumi per favorire la degustazione.
  • l’uso della musica limitato negli intervalli tra vivanda e vivanda perchè nondistragga la sensibilità della lingua e del palato e serva ad annientare il sapore goduto ristabilendo una verginità degustati.
  • l’abolizione dell’eloquenza e della politica a tavola.
  • l’uso dosato della poesia e della musica come ingredienti improvvisi per accendere con la loro intensità sensuale i sapori di una data vivanda.
  • la presentazione rapida tra vivanda e vivanda, sotto le nari e gli occhi dei convitati, di alcune vivande che essi mangeranno e di altre che essi non mangeranno, per favorire la curiosità, la sorpresa e la fantasia.
  • la creazione dei bocconi simultanei e cangianti che contengano dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi. Un dato boccone potrà riassumere un’intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa o un intero viaggio nell’Estremo oriente.
  • Una dotazione di strumenti scientifici in cucina come ozononizzatori, lampade ad emissione di raggi ultravioletti, elettrolizzatori, mulini colloidali, apparecchi di distillazione a pressione ordinaria, autocalvi, centrifughe, dializzatori.

E se bisognava rivoluzionare le pietanze indispensabile diventava un nuovo l’approccio al menù ovvero all’idea di pranzo, armonizzato nella sequenza delle pietanze che dovevano suggerire e determinare gli indispensabili stati d’animo che non si potrebbero suggerire e determinare in altro modo. Marinetti quindi stila una sequenza di programmi di pranzi, i pranzi futuristi determinanti, così declinati:

Pranzo eroico invernale
Pranzo estivo di pittura-scultura
Pranzo parolibero primaverile
Pranzo musicale autunnale
Pranzo notturno d’amore
Pranzo turistico
Pranzo ufficiale
Pranzo di nozze
Pranzo economico
Pranzo di scapolo
Pranzo oltranzista
Pranzo dinamico
Pranzo architettonico Sant’Elia
Pranzo aeropittorico in carlinga
Pranzo aeroscultorico in carlinga
Pranzo aeropoetico futurista
Pranzo tattile
Pranzo sintesi d’Italia
Pranzo geografico
Pranzo di Capodanno
Pranzo svecchiatore
Pranzo improvvisato
Pranzo dichiarazione d’amore
Pranzo sacro
Pranzo simultaneo
Pranzo desiderio bianco
Pranzo astronomico

E quindi?
Visto il mio incredibile amore per la cucina e per le “vivande” ho optato per il Pranzo dichiarazione d’amore il cui menù viene così descritto:
Videsidero: antipasto composto di elementi diversi, di scelta raffinatissima, che il cameriere farà soltanto ammirare, mentre Lei si accontenterà di panini spalmati con burro
Carnadorata: un grande piatto fatto con lucido specchio. Al centro, costolette di pollo profumate d’ambra e ricoperte da un sottile strato di ciliegie. Lei, mentre mangia, si ammirerà riflessa nel piatto.
Viameròcosì: piccoli tubi di pastafrolla ripiena di sapori diversissimi, cioè uno di prugne, uno di mele cotte nel rum, uno di patate intrise di cognac, uno di riso dolce, ecc. Lei, senza battere ciglio, li mangerà tutti.
Superpassione: una torta di pasta dolce molto compatta. Sulla superficie sono praticati piccoli fori ripieni di anice, menta glaciale, rum, ginepro e amaro.
Questanottedame: un arancio molto maturo chiuso in un più grande peperone svuotato e incastrato in uno spesso zabaione al ginepro salato da pezzetti d'ostrica e gocce d’acqua di mare.

Ho scelto “Questanottedame”, visto che qui da me ora Voi siete, che ho interpretato preparando uno zabaione salato con gin, succo d’arancia e champagne, peperoni caramellati, fior di cappero e gocce di colatura di alici. Al centro un’ostrica intera profumata con una macinata di pepe nero di Selim ed una spruzzata di essenza di bergamotto. Il tutto servito in un servizio decisamente decadente, anche se datato 1930. Ma per la degustazione futurista, senza posate, è pronta un’agile soluzione dove le valve dell’ostrica diventano piatto e finger food insieme.

Buon appetito, anzi, ZANG TUMB TUMB!

“Questanottedame”ovvero Ostrica in zabaione salato al gin con peperone candito, fior di cappero, colatura di alici ed estratto di bergamotto

Ingredienti per due persone
3 tuorli d’uovo
10 ml di Gin
10 ml di succo d’arancia
30 ml di champagne
50 g di burro salato
50 g di peperone rosso
2 ostriche 
2 fior di cappero
1 foglia di cappero
pepe nero macinato al momento
sale in fiocchi
qualche goccia di colatura di alici
due spruzzi di essenza di bergamotto

Preparazione
Lavare e mondare una falda di peperone e sbollentare per tre volta in acqua e zucchero tpt. Scolare, asciugare e tagliare a julienne.
Tagliare a julienne la foglia di cappero ed a fettine i due fior di cappero.
In una pentola scaldare un po’ di acqua, appoggiare una bastardella o una ciotola e montare i tuorli con la frusta con un pizzico di sale. Importante che il fuoco sia molto basso e che l’acqua non arrivi al bollore.
Unire il burro ammorbidito, continuando a montare i tuorli e una volta assorbito unire i liquidi a filo, con le gocce di colatura di alici, continuando a montare energicamente fino a quando la crema comincerà ad addensarsi. 
Aprire le ostriche con gli appositi guanto e coltello.
Versare lo zabaione in una tazza da consommè, al centro l'ostrica, continuare con i restanti ingredienti e profumare con una macinata di pepe di Selim e con una spruzzata di estratto di bergamotto.


Bibliografia
Contro la pastasciutta ovvero la cucina futurista, Filippo Tommaso Marinetti - Nuova Editrice Berti
Il gusto della letteratura, Dora Marchese - Carocci editore
Cibo futurista. Dalla cucina nell’arte all’arte in cucina, Claudia Salaris - Stampa Alternativa
La cucina futurista, Marinetti, Fillia - Viennepierre
Il manifesto futurista, Filippo Tommaso Marinetti, Filia

Baccalà al latte di capra con verzottino e riduzione di pera: Martino Scarpa dell’Osteria Ai Do Campanili si aggiudica la VII edizione del Trofeo Tagliapietra

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Cosa c’è di più scontato che cominciare un articolo con frasi del tipo  “nel bellissimo contesto …” o “nella fantastica cornice..”? 
Eppure -  sarà la bellezza che, lasciando senza parole,  induce a commenti  stereotipati? -  è proprio quello che viene in mente per descrivere l’emozione e le sensazioni che, al netto dei contenuti della serata, di cui parlerò subito,  ho provato ieri sera partecipando alla cena di gala (e incontro o, meglio,  “scontro” finale, perché, si sa,  in guerra, in amore  e in .. in cucina …)  del Trofeo Tagliapietra 2016, a Battaglia Terme, nel – lasciatemelo dire -  bellissimo contesto  del Castello del Catajo, un gioiello incastonato nella fantastica cornice dei Colli Euganei. Provare per credere.

Ma veniamo alla serata, momento conclusivo, appunto, del Trofeo Tagliapietra 2016 -  Festival Triveneto del Baccalà, giunto quest’anno alla settima edizione

Un  evento  che, nelle fasi preliminari,  svoltesi dal 16 settembre al 5 dicembre,  ha visto sfidarsi nella preparazione di piatti creativi a  base di baccalà 37 ristoratori di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, di cui sei stellati: il Ristorante AGA (San Vito di Cadore - Belluno) della coppia Chef Oliver Piras e Alessandra del Favero; il Dopolavoro - Dining Room del JW Marriott Venice Resort & Spa degli Chef Giancarlo Perbellini e  Federico Belluco (Isola delle Rose,  Venezia); il Ristorante Met dell’Hotel Metropole, della storica famiglia di albergatori veneziana Beggiato, con lo Chef Luca Veritti (Venezia); il Lazzaro 1915 (Pontelongo, PD) dello Chef Piergiorgio Siviero; La Tana Gourme dello Chef Alessandro Dal Degat (Asiago) e La Locanda di Piero dello  Chef Renato Rizzardi (Montecchio Precalcino).  


Tra i loro piatti, tutti interessanti,  le  “giurie popolari” hanno individuato i sei finalisti, che ieri sera si sono contesti lo scettro (e il magnifico premio, costituito da un viaggio studio alle Isole Lofoten, in Norvegia):

Osteria ai Do Campanili (Treporti - Venezia), con Baccalà al latte di capra con verzottino e riduzione di pera, firmata dallo Chef Martino Scarpa,
Ristorante Da Aurelio (Belluno), Baccalà nell’habitat dolomitico, firmata dallo Chef Luigi Dariz,
Locanda di Piero (Montecchio Precalcino- Vi), I ravioli di stoccafisso, la zucca, caviale di lampone e polenta, firmata dallo Chef Renato Rizzardi,
La Posa Degli Agri (Padova), Tramezzino e spritz: tramezzino speziato con stoccafisso e cipolla caramellata, firmata dallo Chef Andrea Bozzato,
Il Fogolar – Là di Moret (Udine), Gelato di baccalà, le sue guancette in tempura di birra, crema d’aglio fermentato mayonese al wasabi, firmata dallo Chef Stefano Basello,
Zur Kaiserkron (Bolzano), Ravioli di Baccalà alla Cacciatora, Tartufo Nero, firmata dallo Chef Claudio Melis.

Tramezzino speziato con stoccafisso e cipolla caramellata di Andrea Bozzato 

Gelato di baccalà, le sue guancette in tempura di birra, crema d’aglio fermentato mayonese al wasabi di Stefano Basello


I ravioli di stoccafisso, la zucca, caviale di lampone e polenta di Renato Rizzardi


 Ravioli di Baccalà alla Cacciatora, Tartufo Nero di Claudio Melis


Vincitore e  "Re del Baccalà 2016"è risultato lo chef Martino Scarpa dell’Osteria ai Do Campanili (che, per inciso, ho conosciuto, con una certa sorpresa e notevole e non celata soddisfazione, quest’estate in occasione di una vacanza al Cavallino e consiglierei a tutti di visitare), nella foto qui sopra.
A decretarlo, una Giuria stellata, coordinata da Franco Favaretto, chef e patron del Baccalàdivino di Mestre (Venezia),  con:
Ettore Bonalberti - Ideatore e Presidente onorario del Festival Triveneto del Baccalà, Michele Cella, Chef della Biosteria Basilico 13 di Treviso, vincitore dell’edizione 2015, Fausto Arrighi - Tecnico della Ristorazione ex Direttore della Guida Michelin, Peter Brunel - Chef Lungarno Collection – Firenze, Antonio Chemello - Chef La Trattoria di Palmerino - Sandrigo (Vicenza), Nicola Portinari - Chef Ristorante La Peca - Lonigo (Vicenza) e Emanuele Scarello - Chef Agli Amici – Udine.

Il  piatto vincitore, firmato  da Martino Scarpa, Chef dell’Osteria ai Do Campanili:  Baccalà al latte di capra con verzottino e riduzione di pera. Indescrivibile nella sua bontà, creatività e, insieme, semplicità, salvo cedere, ancora una volta, alla tentazione di commenti estasiati, con il rischio di  ricadere nelle  banalità delle parole  di cui parlavo sopra.

Un’ultima nota, tanto per dire, e ribadire, che le cose fatte bene non si fanno da sole, ma richiedono impegno, lavoro, fatica, collaborazione e partecipazione di tanti se non di tutti: alla buona riuscita della manifestazione -  che è stata affiancata da “Baccalando”, un percorso ideato per i più giovani che prevedeva la proposta in chiave creativa e originale, da parte di sette locali alla moda del Veneto, di cichéti, stuzzichini o finger food a base di baccalà -   ha contribuito, oltre allo staff del Catajo, alla Tagliapietra e Figli Srl, una tra le più importanti aziende leader importatrici di baccalà e stoccafisso con sede a Mestre (Venezia) e  alla Strada del Vino Colli Euganei, tutta l’aristocrazia del baccalà: la Dogale Confraternita del Baccalà Mantecato, la Venerabile Confraternita del Baccalà alla Vicentina, la Patavina Confraternita del Baccalà e  la Vulnerabile Confraternita dello Stofiss dei Frati. “What else?” come direbbero i nostri amici inglesi.


 

Il risultato? e concludo: una serata regale. Non solo per l’incoronazione de "Re del Baccalà 2016", ma perché tutti i piatti in gara sono stati  davvero eccezionali, l’organizzazione inappuntabile  ed il contesto, beh, quello andatelo a visitare….. 
Un’esperienza unica, insomma, ma che sarà replicata l’anno prossimo e che certamente raccoglierà un ancor maggiore successo, previsione questa non poi così difficile, posto che è quello che avviene di anno in anno.



Alla prossima edizione!

“Lingua e ricetta …cuoca perfetta”. La narrazione del cibo tra oralità, scrittura e racconto

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Che il cibo sia lingua e linguaggio, sia sistema di comunicazione ce lo ricorda un proverbio: “Parla come mangi” e se è vero che la scrittura viene dopo il parlare possiamo anche dire che la cucina esiste prima dei ricettari ma che dire il cibo è sempre stata una necessità che è cambiata nel corso del tempo. 

Oggi siamo sommersi da “discorsi” sul cibo, a proposito e a sproposito e non solo scrittura ma anche immagini, nuovi linguaggi, nuovi format…al limite della bulimia. 
Da qui l’idea di mettere assieme alcune riflessioni che ci raccontino come nel corso del tempo il cibo sia stato al centro di tanti discorsi e di come lo stesso sia un sistema linguistico a sé stante, con la sua grammatica, con la sua sintassi. 

Assieme, storici, linguisti, mass-mediologi, blogger sono convocati a Cornuda, giovedì 15 dicembre 2016, presso la T’ipoteca, luogo di storia della stampa e dove è allestita unamostra proprio sui ricettari (fino al 23 dicembre)

Sarà un parlare “gustoso” e magari poi capiremo meglio perché agli italiani piace tanto parlare di cibo come ha scritto Elena Kostioukovitch. 


“Lingua e ricetta … cuoca perfetta”
la narrazione del cibo tra oralità, scrittura e racconto

Ore 9.30 Breve saluto di Danilo Gasparini 

Introduce e coordina
Gianfranco Marrone, Università di Palermo 
Ricette e storytelling nel racconto del cibo: le strutture profonde nei testi delle ricette

Ivano Paccagnella, Università di Padova
Cucina e parole nel Veneto del Rinascimento

Patrizia Bertini Malgarini LUMSA, Roma, Accademia della Crusca 
"IlVocabolario storico della cucina italiana postunitaria (VOSCIP) 

Nicola Maranesi Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Pieve Santo Stefano
Scrivere mangiare. Il cibo nelle testimonianze dell'Archivio diaristico nazionale

Daniela Perco, Museo Etnografico della Provincia di Belluno e del Parco delle Dolomiti
Il cibo della tradizione veneta: cinesica, oralità e scrittura


Ore 14.30 Coordina Ivano Paccagnella 

Martina Fabretti 
Il racconto del cibo di Marietta, cuoca di Pellegrino Artusi 

Michele Bordin Conservatore Fondo Maffioli Castelfranco Veneto 
Il cibo raccontato: note sull'enogastronomia narrativa di Giuseppe Maffioli 

Gianfranco Bettega 
Cose che non capischo. Tra dialetto, italiano e tedesco nel ricettario dotale di Felicita Simon

Alessandra Gennaro AIFB (Associazione Italiana Food Blogger)
“Verba volant": le parole nella rete dei blogger

Anna Maria Pellegrino AIFB (Associazione Italiana Food Blogger) 
Parole e immagini dal buco della serratura di una cucina



Via Canapificio, 3
Cornuda TV

Buon Natale

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Fatti come la nascita da una vergine e la resurrezione dalla morte costituiscono ovvi archetipi universali, condivisi dalle mitologie di molte culture. [...] Ad esempio, la scelta del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù è mutuata dalla festa del Sol Invictus, “Sole Invitto”, il Dio Sole (El Gabal) che l’imperatore Eliogabalo importò nel 218 a Roma dalla Siria. L’imperatore Aureliano ne instaurò il culto nel 270 e ne consacrò il tempio il 25 dicembre 274, durante la festa del Natale del Sole: il giorno, cioè, del solstizio d’inverno secondo il calendario giuliano, quando il Sole tocca il punto più basso del suo percorso, si ferma (da cui il nome solstitium, “fermata del Sole”) e ricomincia la sua salita, in un succedersi di eventi che si può metaforicamente descrivere come la sua “morte, resurrezione e ascesa in cielo”.
Piergiorgio Odifreddi

* * *
Scena: cucina, notte della vigilia, Pina ed io.

“L’hai scritta la lettera?” mi domanda una Pina profondamente risentita dalla presenza del cappone sopra il tavolo da lavoro.
“Certo, come sempre - rispondo. E’ l’attività che preferisco di questo periodo così meravigliosamente consumista: chiedere qualcosa ad un signore in pigiama rosso per festeggiare la nascita di un bambino che quattro mesi dopo ci vedrà impegnati a festeggiarne la morte, pardon il suo assassinio.”
“Noto che lo spirito natalizio che alberga nel tuo cuore fa scempio del tuo ottimismo con sempre maggiore efficacia” - mi apostrofa Pina sogghignando.
“Non è vero! Sai che sono un’inguaribile ottimista! La speranza è l’ultima a morire, mi pare si dica.” concludo sorridendo, mentre finisco con l’ultimo pezzo di impasto per i Mo’moul.
“Ma poi muore, mi pare accada.” conclude la saggia amica pennuta.



 

Già. 
Sarà l’età e sarà che a 10 anni scrivevo “Caro Babbo Natale (anche se non esisti), convinci i miei genitori a regalarmi un microscopio che le bambole proprio non le sopporto” ma il profumo della cannella copre con sempre minor efficacia la puzza dell’ipocrisia.

Una cosa però gli scriverei a Babbo Natale, anche se non esistesse.
Mi piacerebbe chiedergli di togliere l’audio all’umanità. A quella "virtuale".
Di far chiudere la bocca ai milioni (miliardi?) di persone che abitano nella rete, di soffocare le loro stupidaggini inconcludenti, di troncare i loro dibattiti inutili, di sterminare le loro polemiche sterili.

Del resto basta prendere l’esempio dalle loro opere quotidiane: rifiutare, soffocare, troncare e sterminare riesce benissimo anche fuori dalla rete e quindi non dovrebbe essere così difficile replicare simili azioni nei confronti dei decibel.
Gli chiederei quindi di “silenziare” chi non ha niente da dire e che, nonostante la vacuità dei propri pensieri, riesce a propinare un rumore terribile. E insopportabile.
E gli chiederei, magari aiutato dalla magia della strega Nocciola che di incantesimi se ne intende, di trasformare gli inutili pensieri rumorosi in utili azioni silenziose. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Anche far conferire l’umido nel bidone dell’umido, per esempio.

 

E cosa gli offrirei in cambio?
Dunque buona, brava, paziente e sorridente già lo sono. Che poi l’atto del sorridere fa muovere un sacco di muscoli e con la faccia che comincia a cedere alla forza di gravità non è male come attività fisica. 
Gli offrirei i miei silenzi operosi, le mie assenze fertili, la mia generosità scontata ovvero non a basso prezzo, il mio cuore oltre l'ostacolo e consapevole del rischio dello schianto contro un muro di gomma. Sull’obbedienza possiamo discutere.
E gli offrirei i biscotti che sto preparando ora, biscotti che con il Natale non c’entrano nulla, certo, come non c’entra nulla l’euforia isterica di questi giorni con la nascita di un bambino che corrisponde alla nascita del sole secondo i riti pagani di qualche millennio fa.
Sono biscotti dalle mille ricette e dal colore del sole, dalle farciture ricche e profumate, dalla dolcezza non stucchevole e dalla texture insolita.
E sono biscotti che sono un rito, un rito femminile, che si compie nei ginecei di quella parte del mondo che amo particolarmente e come per tutti i riti gastronomici femminili che si compiono in tutte le parti del mondo sono un dono, un atto di amore, un desiderio di condivisione e di unione. 
Gesti virtuosi che si perdono nella notte dei tempi, gesti compiuti rispondendo ad un copione d’amore non scritto, gesti tanto silenziosi quanto operosi.
Per una volta lasciar parlare le mani ed il cuore, con un silenzioso sorriso che illumina il volto.

Buon Natale.

 


Ma’moul, i dolcissimi biscotti libanesi
Un biscotto preparato con le proprie mani è un dono e questi biscotti vengono preparati dalle donne per le donne. Troverete tantissime ricette ma due sono i capisaldi: il semolino e il ripieno che vedrà come ingredienti principali datteri e noci o pistacchi. In rete si possono acquistare gli stampi in legno ma è possibile confezionarli procedendo come fossero dei ravioli. Questa ricetta è quella del mitico Yotham Ottolenghi, appena un po’ personalizzata, per rendere più semplice l’esecuzione anche a chi non ha grande manualità “biscottifera”.

Portata: dessert, biscotti
Dosi per 24 pezzi, circa
Difficoltà: media
Preparazione: 30’ più il riposo
Cottura: 15’

Ingredienti per l’impasto
200 g di semolino 
200 g di farina 00 
180 g di burro chiarificato
50 g di zucchero semolato
1 cucchiaio di acqua di fior d’arancio
1 cucchiaio di acqua di rose
1 cucchiaio tra cannella, noce moscata, cardamomo e zenzero in polvere
1/2 cucchiaino di bicarbonato
1/1 cucchiaino di sale

Ingredienti per la farcia
100 g di pistacchi tostati 
40 g di datteri 
20 g di zucchero di canna 
1 cucchiaio tra cannella, noce moscata, cardamomo e zenzero in polvere
1 cucchiaino di acqua di rose
1 cucchiaino di acqua di fior d’arancio

Preparazione
Scaldare il forno a 180°.
Unire in una ciotola (o nella planetaria) il semolino setacciato con la farina, il bicarbonato e le spezie, lo zucchero, il sale e mescolare aggiungendo il burro a temperatura ambiente, le acque profumate e le spezie, lavorando gli ingredienti fino ad ottenere un composto liscio. Coprire con della pellicola e far riposare in frigo per 30’.
Nel mixer frullare i pistacchi con i datteri, lo zucchero, le spezie, le acque aromatiche fino ad ottenere una pasta morbida.
Con le mani inumidite dividere l’impasto in palline di 25 g di peso circa, schiacciarle con le dita sul palmo della mano fino ad ottenere dei dischi, inserire al centro un cucchiaino colmo di impasto, chiudere con i bordi del disco e con i rebbi della forchetta formate di disegni sulla superficie.
Se invece avete il tradizionale stampo in legno stendere un pezzettino di impasto sull'incavo decorato, farcirlo, richiuderlo e con un colpo secco sul piano di lavoro "espellere" il biscotto dallo stampo.
Procedere fino alla fine degli ingredienti e disporre i Ma’amoul sopra una teglia coperta da carta forno.
Cuocete per 15’: non devono dorare troppo. 
Sfornare, far raffreddare sopra una gratella e servire spolverandoli di zucchero a velo.



Benvenuto 2017. E chi ben comincia non dimentica il gesto gentile di preparare la colazione

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La somma di 2017 è dieci, quindi Uno. 

Per la numerologia, per la Kabbalah e anche per Pitagora il numero uno corrisponde all'inizio, all'energia mentale, alle nuove partenze ed ai nuovi inizi.
Corrisponde alla volontà. E anche all'unità visto che è divisibile solo per sé stesso.
Ma per realizzare bisogna anche voler realizzare: non basta l'intenzione, ci vuole la forza e la maestria, l'umiltà e l'impegno, la visione e il coraggio, se serve, di rialzarsi.

Il 2017 sarà un anno in cui Mercurio potrà esprimersi al meglio nel suo essere pianeta governatore dell'estro geniale, delle invenzioni e delle occasioni di incontro. E sarà naturalmente un anno in cui si continuerà a parlare di cucina, certo, e di cibo. E mi piacerebbe che se ne parlasse aggiungendo due sostantivi dai quale credo non si possa più fare a meno ovvero la gentilezza e la stratificazione ( sovrapposizione), traduzione del più moderno "layering", un termine consueto a chi vive la "creatività"

Mi piacerebbe, come avevo auspicato nella letterina di "Buon Natale", che venissero meno le barriere e le opposizioni e che la contaminazione e gentilezza potessero serenamente esprimersi, raccontando storie e condividendo ricette. Con lo spirito mercuriano ovvero curioso ed intraprendente ma anche gentile ovvero protettore di quel passato che ci appartiene e che senza il quale il nostro futuro avrà sempre meno certezze. E tanta, troppa aggressività.

Si riparte, quindi, e per migliorare la realtà che ci circonda non ci resta che circondarci di gentilezza e di creativo stupore. Insieme, intrecciati, come gli ingredienti del dolce che vi offro oggi per colazione: una corona, un cerchio, un inizio.

Buon 2017.

 

Il Kringle Estone, o Treccia Estone, è una treccia di pasta brioche, tradizionalmente farcita con burro, cannella, cardamomo e dalla forma rotonda che una volta cotta assomiglia ad una corona. Oltre alle spezie la farcia prevede anche la presenza di noci, nocciole o pinoli e praticamente ogni famiglia riproduce la propria ricetta segreta, custodita gelosamente negli anni, e che può prevedere anche l’utilizzo di uvetta, albicocche disidratate, frutta secca o fresca.
Simbolico quindi non solo l’uso di determinati ingredienti, come le preziose spezie ed i ricchi semi oleosi, ma anche la forma arrotolata comune in molti altri dolci più o meno vicini a noi come la Gubana friulana,  la Putizza giuliana, il Burek turco e dei paesi dell’Est ed i Pretzel di origine germanica.

 

 

Il Kringle è un dolce molto diffuso in tutto il Nord Europa, dove pare sia arrivato nel XIII secolo dal Mediterraneo, portando con sé i profumi delle spezie, e conquistando subito le dispense di Norvegia, Svezia e Danimarca. La parola Kringle in norvegese significa “chiocciola” anche se si possono trovare normalmente in commercio Kringla (al plurale) a forma di pretzel o di ferro di cavallo. 

In Estonia invece il Kringle modificò la forma nel corso dei secoli assumendo quella giunta fino a noi ovvero il cerchio intrecciato che ricorda il ciclo della vita e delle stagioni. 
E’ singolare infatti che prima di divenire un dolce abbastanza comune - si trova infatti tutto l’anno nelle pasticcerie e nelle panetterie - fosse preparato per festeggiare i compleanni e come dono nei riti di fine d’anno, quando la Festa delle Luci che riuniva le famiglie durante il Solstizio d’Inverno fu sostituita dalla celebrazione della nascita di Gesù prima e dal più commerciale Natale poi.

Una treccia soffice e profumatissima, ricca di burro e di semi croccanti, dorata grazie alla presenza dello zucchero di canna, che si può preparare e donare per farsi gli auguri, per decorare la casa durante le festività e per iniziare il nuovo anno con un auto-augurio.

 

Kringle o Treccia Estone
Portata: dessert
Dosi per 8 persone
Difficoltà: media
Preparazione: 30’ più la lievitazione
Cottura: 30’
Riposo: 3 h
Vino consigliato: Recioto Classico Docg

 

Ingredienti per la pasta
300 g di Petra 1
5 g di lievito di birra secco
120 ml di latte crudo a temperatura ambiente
50 g di burro di malga a temperatura ambiente
1 uovo bio a temperatura ambiente
un pizzico di sale

Ingredienti per la farcia
80 g di burro di malga a temperatura ambiente
80 g di zucchero di canna
60 g di uvetta sultanina
30 g di noci 
30 g di nocciole tonde igp
1 cucchiaio di cannella regina in polvere
3 semi di cardamomo
il succo di mezza arancia per ammollare l'uvetta
1 uovo, 1 cucchiaio di latte, mandorle a lamelle e zucchero a velo per la finitura

Preparazione
In una planetaria con la frusta a gancio oppure in una ciotola impasta tutti gli ingredienti a temperatura ambiente per 10’, aggiungendo verso la fine il sale così da non rendere inattivo il lievito, fino ad ottenere una palla tonda e liscia.

Trasferisci l’impasto in una ciotola, coprilo con pellicola e lascia lievitare per almeno 2h o fino al raddoppio.

Stendi l’impasto con un matterello, così da ottenere un rettangolo di circa 35x25 cm, distribuisci spalmandolo il burro morbido, spolvera con lo zucchero setacciato con le spezie e termina con l’uvetta ammollata per 20’ nel succo d'arancia e ben strizzata e con le noci e le nocciole tritate al coltello.

Arrotola strettamente l’impasto, partendo dal lato più lungo, taglialo a metà ed arrotola i due capi, unisci le due estremità dando una forma di cerchio, posiziona il kringle sopra una teglia coperta da carta forno, proteggi con pellicola e lascia lievitare per almeno un’altra ora o fino al raddoppio.

Accendi il forno statico a 180°, spennella la superficie della treccia con l’uovo sbattuto con il latte, distribuisci un paio di cucchiai di mandorle a lamelle e cucina per 30’ o fino alla doratura della treccia.

Fai raffreddare sopra una gratelle e servi Il Kringle spolverato di zucchero a velo.

Red Velvet Cake, un classico della pasticceria americana per San Valentino e la mia personale lista di film d'amore

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E per San Valentino andassimo al cinema?
Ma non per smoccolare davanti ad un qualsiasi film strappalacrime, troppo facile, ma per continuare a parlare di cibo con la scusa di parlar d'amore. 
Così mettiamo a loro agio anche i single che non è carino lasciarli da soli in un giorno come questo.

Film d'amore con un po' di cibo, si diceva, o comunque con un piano lungo sul frigorifero o sulla dispensa. Meglio il frigo, quello di "9 settimane e mezzo" dove i preliminari avvengono davanti all'elettrodomestico più erotico che la domotica abbia mai inventato (subito dopo la lavatrice, durante la centrifuga) e dove, sempre con la scusa dei preliminari, gli interpreti si sbrodolano con miele, panna, fragole e cetriolini, più o meno in sequenza, neanche fossero gli ingredienti di un piatto creativo.

 

Per la sezione "Amore sfigato" a pari merito "Come l'acqua per il cioccolato", dove alla fine muore anche l'addetto alle luci ed "I ponti di Madison County" con la dichiarazione d'amore più struggente mai ascoltata che avviene all'interno della dispensa, tra la passata di pomodoro ed il sidro, infine "Il profumo del mosto selvatico" dove un reduce torna dalla guerra, trova una moglie tiepida e nel riprendere l'attività di venditore di cioccolatini finisce per dar fuoco ad un vigneto. Ma siccome c'è una creatura in arrivo tutti vissero affumicati e contenti.

Torniamo nell'ambito peccaminoso del cibo-amore ed eccoci a "Chocolat" dove Johnny Depp si concede in tutta la sua magnificenza prima che il suo matrimonio con la squinzia bionda ci restituisse una sorta di depresso pingue, a "Pretty Woman", con l'atletico lancio dell'escargot, a "Harry ti presento Sally" con il mitico sandwich orgasmico per chiudere con "Ultimo tango a Parigi" dove il burro non si può sostituire con l'olio extravergine d'oliva. 


Un amore peloso? Certo! Galeotti furono i romanticissmi Spaghetti with meatballs di "Lilly e il Vagabondo" e stesso dolcissimo sentimento lo si trova nel film "The Artist", magistralmente interpretato da Uggie, il Jack Russel, scomparso nel 2015, che durante la sua lunga lunga carriera è stato premiato con il «Collare d’oro» a Hollywood nel 2012 e il «Palm Dog» a Cannes l’anno precedente. Ci sono attori non pelosi che farebbero carte false per uno dei suoi intensi primi piani e dell'abilità con cui prendeva a musate i dolcini dai preziosi piatti in fine porcellana. 
Anche in "Colazione da Tiffany" un gattone soriano, Gatto appunto, ispira sentimenti d'amore come la celebre vetrina della celeberrima gioielleria. E il bacio sotto la pioggia è quando più da innamorati si possa chiedere ad un film. 

 

Infine, tre film che Hollywood produsse per parlare d'amore in cima alla mia personale classifica: "I segreti di Brokeback Mountain", con lo spiedo in mezzo alla natura selvaggia e le birre complici, "Pomodori verdi fritti alla fermata del treno" con l'amore ed il rispetto di sé al grido di Towanda!! ed infine "Io ed Annie", di Woody Allen, il mio film d'amore preferito che ci insegna che i rapporti d'amore sono irrazionali e pazzi e assurdi ma esistono perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.


Anche il dolce pensato per la giornata di oggi, la Red Velvet Cake, morbido componente della famiglia dei Frosted Layer Cake ebbe dei riscontri cinematografici, apparendo  in Fiori d’Acciaio (1989) e nella serie televisiva Sex and the city, un ritorno in gran spolvero proprio per la festa degli innamorati dopo aver trascorso tristemente gli anni '70, demonizzata per il suo colore.
La ricetta della Velvet Cake che vi propongo è una versione semplificata, in quanto declinata nei più spiritosi cupcake, così da poterne offrire uno anche al collega o all’amico single o al secondo innamorato della lista personale, ed arriva direttamente dagli Usa e dal mitico sito di Joy of Baking.

Qualche consiglio prima di iniziare: 
  • pesate tutti gli ingredienti della torta così da procedere più agevolmente e devono essere tutti a temperatura ambiente!
  • se non trovate in commercio il latticello è possibile prepararlo con latte, yogurt e qualche goccia di limone,
  • assolutamente indispensabile il composto di aceto e bicarbonato da aggiungere all’impasto mentre ancora sta “frizzando”,
  • è preferibile utilizzare coloranti alimentari in gel, che restituiranno un rosso intenso ed accattivante e non tendente al marrone,
  • è possibile tenere in frigo il frosting e decorare i dolcetti al momento di servirli ed è anche possibile farcirli eliminando il pirottino e tagliandoli a metà, per renderli ancora più golosi!
Buon San Valentino!



RED VELVET CUP CAKE

Portata: dessert
Dosi per 12 tortini
Difficoltà: media
Preparazione: 20’
Cottura: 30’
Riposo: si
Forno: si

Ingredienti
Ingredienti secchi
130 grammi di farina 00 
150 g di zucchero 
10 g di cacao amaro in polvere 
1/4 di cucchiaino di lievito in polvere
1/4 cucchiaino di sale

Ingredienti umidi
60 g di burro a temperatura ambiente 
1 uovo grande 
1 bacca di vaniglia
120 ml di latticello 
oppure
60 ml di latte intero 
60 ml di yogurt intero 
qualche goccia di succo di limone
1 cucchiaio di colorante alimentare rosso in gel
1/2 cucchiaino di aceto di vino bianco 
1/2 cucchiaino di bicarbonato di sodio

Ingredienti per il frosting 
230 g di formaggio cremoso a temperatura ambiente (anche Labna)
160 ml di panna fresca fredda 
60 g di zucchero a velo setacciato
qualche goccia di estratto di vaniglia

Preparazione
Scaldate il forno a 175°, ventilato. Ottenete dalla bacca di vaniglia i semini e mescolateli alla panna.
In una ciotola mescolate farina, lievito, sale e cacao, setacciando ed arieggiando bene.
Nella planetaria con frusta a foglia, o con un frullino manuale, montate burro e zucchero fino ad ottenere una crema lucida. Aggiungete poi l’uovo, facendolo amalgamare bene.
Preparate il latticello mescolando latte e yogurt con qualche goccia di succo di limone e diluite il colorante rosso nel latticello.
Versate il composto rosso nell’impasto di burro e uova, alternandolo alla miscela di farine.
Mescolate il bicarbonato e l’aceto e unitelo subito all’impasto, mentre sta ancora frizzando, mescolate velocemente con un mestolo e sempre velocemente distribuite il composto con un un porzionatore da gelato all’interno dei pirottini.
Infornate e cuocete per 20 minuti, prova stecchino d’obbligo! Deve essere comunque morbido ma non umido.
Sfornate e far raffreddare completamente prima di decorare con il frosting che nel frattempo prepareremo montando il formaggio cremoso con lo zucchero a velo setacciato ed aggiungendo a filo la panna profumata con l’estratto di vaniglia..
Trasferite tutto in un sac a poche con punta a stella.

Guarnite i cupcake raffreddati con il frosting e con decorazioni color rosa e servire.

"La Zuppetta che si crede un Gazpacho" e il cooking show per la Metro Academy di Venezia

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METRO Group è una delle principali società internazionali di distribuzione, presente in 32 paesi con oltre 2.220 punti vendita dove circa 280.000 dipendenti offrono ogni giorno al cliente estrema professionalità.
La realtà italiana, METRO Italia Cash and Carry, conta 49 punti vendita in 16 Regioni, dove è il Partner dei Professionisti della Ristorazione e dell’Ospitalità.

Il lavoro della ristorazione negli ultimi anni è profondamente cambiato ed ai professionisti dell’ospitalità, dentro e fuori la cucina, è richiesta una formazione continua ed è questa la mission delle METRO Academy che sono le accademie di cucina professionale firmate METRO. 

Queste accademie, presenti all’interno di selezionati punti vendita, sono una novità per il mondo Horeca, una “piazza” all’interno del negozio nella quale è possibile confrontarsi e ricevere ispirazione attraverso cooking show, cocktail session, ma anche corsi riservati ai professionisti. I Resident chef delle METRO Academy di Milano, Bologna, Roma, Perugia, Firenze e Venezia sono inoltre a completa disposizione dei clienti per dimostrazioni e prove prodotto prima dell’acquisto.

Immaginate quindi la mia emozione nel momento in cui mi è stato chiesto di presentare un cooking show nella sede di Venezia, la prima ad essere completamente dedicata al mondo Horeca, sviluppando un menù che potesse raccontare le peculiarità enogastronomiche del territorio con uno sguardo alla storia ed uno al territorio ed indossando gli occhiali della fantasia e dell’innovazione.

I clienti che martedì 14 marzo assisteranno al “racconto di cucina” potranno assaggiare quanto vedranno presentare, grazie alla linea precedentemente realizzata in collaborazione con Massimiliano Iulio, Resident Chef della Metro Academy di Venezia, rientrato da pochi mesi dagli Stati Uniti e da un lungo viaggio professionale che lo ha portato nelle cucine di mezzo mondo.

Ecco allora al menù che abbiamo pensato gli ospiti:

TARTARE DI SKREI CON SORBETTO AL BROCCOLO E CIALDA DI MAIS BIANCOPERLA
Dove il mare che entra nell’orto per questo antipasto che cambia temperature e texture di un piatto della tradizione veneta, ovvero pesce polenta e verdura, e lo offre come fosse un dessert ma che al palato restituisce sapori e consistenze conosciute.

ZUPPETTA DI POMODORINI CONFIT E AGRUMI CON MERLUZZO COTTO A BASSA TEMPERATURA E POLVERE DI OLIVE TAGGIASCHE
Una sorta di “gazpacho a sua insaputa” dove l’acidità è offerta dal succo di agrumi, i carboidrati dall’estratto di finocchi (si, le verdure contengono carboidrati!) e la sapidità dalla polvere di olive taggiasche.

“ROVO E VIGNA” ovvero FRUTTI DI BOSCO CON ZABAIONE “BRUCIATO”
Dove il profumo del Moscato di Pantelleria trasformerà i frutti di bosco, ricchissimi di vitamina C ed antiossidanti, in un dessert elegante e l’accompagnamento con un Baicolo, biscotto tradizionale veneziano, darà una nota croccante al dessert.



Vi lascio la ricetta del main course, ovvero del piatto centrale del menù.
Buon appetito ;)

ZUPPETTA DI POMODORINI CONFIT E AGRUMI CON MERLUZZO COTTO A BASSA TEMPERATURA E POLVERE DI OLIVE TAGGIASCHE 

Portata: main corse
Dosi per 4-6 persone
Difficoltà: media
Preparazione: 40’
Cottura: 1h30 più il tempo necessario per la cottura del merluzzo 
vino o birra consigliati: Franciacorta

Ingredienti per la zuppetta che si crede un gazpacho
500 g di merluzzo, pulito
500 g di pomodorini datterini
100 ml di succo di arancia sanguinella
100 ml di succo di pompelmo rosa
50 ml di estratto di finocchio
60 g di finocchio tagliato sottilmente (meglio con l’affettatrice)
60 g di spicchi di pompelmo tagliato a vivo
20 g di zucchero di canna
1 bouquet garnì, abbondante
aneto o finocchietto selvatico
2 bacche di cardamomo
olio evo di olive taggiasche 
sale in fiocchi, Maldon
pepe bianco di Sarawak
xantana o fibra per addensare

Preparazione
Lavare i pomodorini, stenderli sopra una leccarda coperta da silpat, distribuire le erbette del bouquet, coprire con i pomodorini, condire con sale, pepe, olio, zucchero di canna. Cuocere nel forno statico a 140° per 1h30’.
Frullare e passare al colino.
Unire alla passata di confit i succhi e l’estratto addizionando di qualche grammo di xantana per addensarla appena, regolare di sale e di pepe.

Affettare finemente ill finocchio e lasciarlo in acqua e ghiaccio per renderlo croccante.

Cuocere il merluzzo a bassa temperatura sottovuoto con tre steli di aneto, le bacche di cardamomo e olio evo (50° per 12’). Togliere dal sottovuoto, asciugare, cubettare o sbriciolare grossolanamente con le mani rispettando le fibre, regolare di sale e pepe (se necessario).

Servire la zuppetta a temperatura ambiente o appena tiepida con i pezzi di merluzzo posizionati al centro del piatto, distribuire gli spicchi di agrume e la verdura croccante. Decorare con una foglia di aneto e profumare con la polvere di oliva taggiasca.

L'elogio della frittella (delle zeppole e delle graffe) e dei Fritoleri veneziani: per festeggiare il mio compleanno

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“Ne ho abbastanza delle alici;
mi è venuta la nausea a furia
di mangiare frittura.
per farla finita con le alici, portatemi piuttosto un fegatino o un pò di cotenna di un giovane cinghialetto; altrimenti, una costatina, o la lingua o 
la  milza o l'intestino digiuno; ovvero portate qui il ventre di una porcella 
da latte castrata sul finire dell'estate, insieme con panini
tiepidi.
Aristofane, I friggitori. 420 a.C.”

Cosa c’è nel fritto che ci piace così tanto e ci induce immediatamente a pensare ad una festa, ad un momento giocoso e, soprattutto, goloso? Provate le stesse emozioni con la zuppa di cavolo o con lo sgombro al vapore? Direi proprio di no. Ed hai voglia di abbellire il piatto con mandorle a lamelle, germogli assortiti e zeste di agrumi: sempre cavolo e pesce bolliti rimangono.

E invece il fritto è bello così com’è! 
In esuberante ebollizione appena immerso nell’olio caldo, mentre rilascia il grasso in eccesso sopra grandi vassoi, mangiato in punta di dita ancora bollente e anche nella versione take away, che i golosi napoletani chiamano o’cuoppo.
Se poi all’idea di fritto si associa quella della dolcezza non ce n’è per nessuno, non trovate? 
Certo, una Millefoglie si esprime nella sua elegante geometria e la Sacher, così severa, induce in discreta tentazione tanto quanto la solare Cassata. Ma la frittella, a qualsiasi latitudine venga preparata e servita, è subito maliziosa tentazione.
Pensandoci bene la frittella è un pezzettino di pasta lievitata, ma anche assemblata al momento senza attendere troppo, gettata a cucchiaiate nel grasso bollente, fatta dorare per qualche minuto, avvolta nello zucchero semolato e servita così, a mano, senza piattini e forchettine, senza tanti complimenti, che fredda rischia di diventare meno buona.
Eppure, nei territori della Serenissima, la frittella o, meglio, “la fritola” è sempre stata considerata il dolce nazionale, servita anche ai confini della Repubblica, in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia. E vista la rilevanza non si poteva lasciare a chiunque un’arte così notevole: bisogna essere bravi e bisognava che qualcuno lo certificasse. Mica si può friggere a caso!


Le arti che vanno per via nella città di Venezia” (stampate per la prima volta nel 1753 e riunite in un unico volume nel 1785) di Gaetano Zompini



Nacque così nel ‘600 la “Corporazione dei Fritoleri”, settanta professionisti della "frìtola" che operavano rigorosamente per strada in un’area ben definita a loro assegnata. Area ed attività che veniva tramata di padre in figlio, una sorta di solenne garanzia circa l’assoluta bontà del prodotto preparato e servito in ogni momento dell’anno, anche durante la Quaresima. I professionisti della frittura, quindi, offrivano ai clienti il prezioso “bocon da poareti e da siori”  plain air o protetti da un “barachino”, una sorta di tetto in legno, e sempre all’aperto avvenivano tutte le operazione di preparazione del dolce, come scriveva lo storico Giovanni Marangoni: “… impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerle con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi. A cottura ultimata le frittelle venivano esposte su piatti variamente e riccamente decorati, di stagno o di peltro. Su altri piatti, a dimostrazione della bontà del prodotto venivano esibiti gli ingredienti usati: pinoli, uvette, cedrini.

Molteplici le versioni della frìtola, anche se quella veneziana doc ha un foro centrale, ed a testimonianza dell’importanza di questo dolce quella più antica risale alla seconda metà del 300 e si tratta del più vecchio documento di gastronomia veneziana custodito presso la Biblioteca Nazionale Canatense a Roma. Ne esiste poi una versione rinascimentale che si presenta come una sorta di appunto di cucina che è contenuta in una miscellanea di documenti del Fondo Correr (Museo Correr a Venezia).
La frìtola contagiò anche la cucina ebraica che ne fece una propria versione ed ancor oggi viene preparata per la festa del Purim.


Friggevano anche le donne, le Frittellare, e in un libro meraviglioso di Giovanni Grevembroch, commissionato dal suo mecenate Pietro Gradenigo, "Abiti de veneziani di quasi ogni eta' con diligenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII " si può godere di una completa rassegna, con tavole a colori e le relative didascalie e descrizioni, delle attività professionali in voga a Venezia, dove l’attività della cuoca e della frittellara vengono ampiamente documentate.
E friggevano anche le colleghe napoletane, le Zeppolare, che in occasione della festa di San Giuseppe, festività che trae le proprie origini dalle Liberalia romane, baccanali dedicati alle divinità protettrici del grano e del vino e cristianamente convertiti per festeggiare lo sposo di Maria, preparavano in strada le zeppole, frittelle tuffate dello strutto fumante e servite con golosa crema e amarene “cotte dal sole”.


Oggi è il mio compleanno, 51 primavere per l’esattezza, ed ho pensato di festeggiare come avrebbero fatto gli antichi romani nel 500 a.c., a Venezia in pieno Rinascimento ed anche   nei vicoli della città che vide mio nonno crescere e di friggere, come facevano le mie colleghe tanto tempo fa a diverse latitudini, con la stessa allegria.
Vi riporto quindi la ricetta delle Zeppole, passo passo, e qui invece troverete quella della Graffe, altro spunto goloso da vivere per strada che, come cita il manifesto dello Street food, ovvero “Il cibo di strada è un portatore sano di felicità.”.

Buon Compleanno!

ZEPPOLE DI SAN GIUSEPPE

Portata: dessert
Vino consigliato: Pinot Rosè spumante
Dosi: per 4 persone 
Preparazione: 30’ più il raffreddamento
Cottura: 40’
Difficoltà: discreta

Ingredienti per le zeppole
250 ml di acqua
150 g di farina 00
3 uova bio
30 g di burro 
un pizzico di sale

Ingredienti per la crema pasticcera
250 ml di latte intero alta qualità 
75 g di zucchero 
2 tuorli 
1 limone bio 
25 g di maizena 

Ingredienti per il piatto
Olio di semi di arachidi
Marasche Luxardo
Zucchero a velo


Preparazione
In una casseruola dal fondo pesante portare a bollore l’acqua con il burro ed un pizzico di sale, versare la farina setacciata in una volta sola e mescolare vigorosamente con un cucchiaio di legno fino a quando non si otterrà un impasto a forma di palla, rimettere sul fuoco moderato e con una spatola mescolare per circa 10’. Mettere da parte in una ciotola e far raffreddare per almeno 20’ in frigo. Dopo il riposo unire le uova, una alla volta, con un frustino elettrico aggiungendo la successiva solo quanto il precedente sarà completamene assorbito. 
Mettere da parte a riposare e nel frattempo preparare la crema pasticcera.

Scaldare quasi a bollore il latte con la scorza del limone e in una ciotola montare i tuorli con lo zucchero, unire la maizena, versare lentamente il latte caldo filtrato per eliminare la scorza del limone mescolando continuamente, riversare il composto nella pentola e cucinare per 8-10’ fino a quando la crema diventerà densa. Versarla in una ciotola, sempre filtrando con un colino, coprirla con della pellicola, facendo in modo che tocchi la superficie della crema così che non formi l’antiestetica pellicina durante il raffreddamento.

Ritagliare dei quadrati di carta forno di 10 cm di lato.
Portare in temperatura max 170° l’olio.
Mettere il composto che riposa in frigo dentro un sac a poche o una sacca da pasticcere con la punta a stella e formare una ciambella di circa 5-6 cm di diametro e friggerla, meglio una alla volta, trasferendo anche la base in carta forno che si staccherà durante la cottura e che potrà  essere tolta dall’olio con una pinza o una posata.
Continuare fino al termine dell’impasto, lasciando riposare le zeppole sopra un vassoio con carta assorbente o carta cucina.

Servire il dolce farcendolo con la crema pasticcera trasferita in un’altra sac a poche, decorarlo con una marasca ed una spolverata di zucchero a velo.


Bibliografia
Le arti che vanno per via nella città di Venezia” di Gaetano Zompini, 1785
"Abiti de veneziani di quasi ogni eta' con diligenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII ", di Giovanni Grevembroch, ed.

La Terrina molto tecnica, e molto zen, per l'Mtchallenge #64

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Se è vero che cucinare è un atto d'amore la preparazione della terrina dedicata a Giuliana per la sfida #64 dell'Mtchallengeè stata un vero e proprio atto di fede, che proporrei anche ai laici ed agli agnostici.
Nel blog di ricette di terrine ne trovate più di qualcuna ed è un piatto che preparo almeno una volta al mese (utilizzando contenitori in ghisa) declinandolo dal dolce al salato e che amo proprio per la sua facilità di esecuzione.

La proposta di oggi, invece, è una ricetta slow, dalle molte preparazioni e dalla tecnica ulteriormente approfondita grazie all'utilizzo di strumenti dall'uso oramai quotidiano come l'abbattitore, il sottovuoto a campana, il forno al vapore in quanto, e qui non me ne voglia la splendida vincitrice della sfida del mese scorso, la cottura al vapore restituisce alla mia terrina colori più decisi e la giusta compostezza ovvero né troppo morbida né troppo secca. Il calore espresso dal vapore, infatti, restituisce al salmone un rosa più carico, alla farcia un bianco più bianco, così che il verde della soia e la tonalità corallo dello scampo potranno risaltare meglio. L'ho cotta comunque anche come richiesto dal regolamento ed è questa la versione che propongo.

E' un piatto in continuo divenire ed è piacevole lavorare in silenzio ed assistere alla trasformazione di  materia prima che diventa ingrediente per poi, tutti insieme, donare al palato altre sensazioni ed altre emozioni.

Un consiglio prima di iniziare: solo materia prima di indubbia qualità! 
Il pesce dev'essere adulto, dalla polpa soda e dalle dimensioni importanti, il Broccoletto di Custoza (visto che la stagione è finita ed anch'io ho terminato le mie riserve) può essere sostituito dal più consueto broccolo verde ed attenzione al wasabi, da preferire in polvere e da dosare con giudizio visto che potrebbe ammazzare i sentori del tartufo.

Buon lavoro, quindi, e buona Terrina a tutti.



TERRINA DI MERLUZZO CON SALMONE MARINATO, SCAMPO BARDATO AL LARDO ALLE ERBE, SALSA AL TARTUFO, CREMA E MAIONESE DI BROCCOLETTO DI CUSTOZA AL WASABI

Portata: antipasto
Dosi: per 6 persone
Preparazione: 40’
Cottura: oltre 2 ore complessive per i diversi tipi di preparazione e 48h di riposo
Difficoltà: media
Vino consigliato: Ribolla Gialla spumantizzato

Ingredienti e preparazione del merluzzo
600 g di filetto di merluzzo fresco o stoccafisso ammollato adeguatamente
300 g di porri, la parte bianca
150 g di sedano, la parte bianca
150 ml di panna, grasso al 20%
100 ml di albumi bio (o che l’alimentazione delle galline non preveda l’aggiunta di betacarotene)
un bouquet garni formato da aneto ed issopo
olio evo, meglio dei colli Euganei
sale iodato
pepe bianco di Sarawak
Pernod, non più di 20 ml

Mondare e tagliare a rondelle i porri, eliminare dal sedano la parte esterna più coriacea e tagliarlo a tocchetti.
In una casseruola far brasare molto lentamente le verdure con un paio di cucchiai di olio evo e quando saranno morbidi unire la panna e far ridurre della metà facendo attenzione che non prenda colore.
Unire il merluzzo a tocchetti, cuocere per pochi minuti e passare al tritacarne una prima volta con il disco con i fori larghe successivamente con quello con i fori più piccoli.
Trasferire al cutter (mixer) e frullare unendo gli albumi e il Pernod fino ad ottenere una crema ed infine passarla al setaccio.
A questo punto, per un risultato migliore, l’ottimale sarebbe trasferire la crema così ottenuta in un contenitore e fargli fare due “passaggi” nel sottovuoto a campana, così da aspirare molta dell’aria contenuta nella farcia.
Salare, pepare e mettere da parte.

 
 Il merluzzo prima e dopo il passaggio nel sottovuoto a campana

Ingredienti e preparazione per il salmone marinato
Una baffa di almeno 1 kg di salmone fresco (tratta da un salmone intero di almeno 2,5 kg)
1 kg di sale fino
800 g di zucchero
4 limoni bio, succo e zeste
1 cucchiaio di bacche di pepe rosso
aneto fresco tritato
4 chiodi di garofano

Eviscerare, eliminare la testa e la lisca centrale dal salmone così da ottenere due baffe intere. Sfilettatele  e abbattetele in negativo per almeno 48 ore, per scongiurare il pericolo anisakis.
Trascorso questo periodo coprire la superficie della baffa con l’aneto tritato, mescolare i restanti ingredienti e coprire, facendo riposare al fresco per 12 ore. 
Successivamente eliminare sale, zucchero e liquidi della marinata ed affettare finemente per ricoprire la terrina (non lo userete tutto, naturalmente, una volta lavorato è possibile rimetterlo sottovuoto e conservarlo in frigo per qualche giorno).

Ingredienti e preparazione della purea di Broccoletto di Custoza al wasabi
500 g di foglie e coste di broccoletto di Custoza
30 g burro chiarificato
20 g parmigiano Reggiano grattuggiato
3 g di wasabi in polvere
noce moscata
sale iodato
pepe nero di Sarawak
qualche foglia di timo limone fresco

Sbollentare le verdure in acqua salata per 2’ dalla ripresa del bollore, abbattere in positivo, ridurle in purea 400 g con un passaverdure e condire con burro, il parmigiano, regolare di sale, pepe e le foglioline di timo fresco tritate. Mettere da parte.

Ingredienti e preparazione per la maionese di Broccoletto di Custoza al wasabi
20 g di estratto di broccolo di Custoza
150 ml di bevanda di soia
2 g di wasabi in polvere
sale 
Pepe bianco di Sarawak

Preparazione
Passare all'estrattore le foglie rimaste del broccoletto, unire alla bevanda di soia e aggiungere l’olio a filo quanto basta per creare un emulsione. Regolare di sale e pepe macinato al momento.

Ingredienti e preparazione della salsa vellutata al tartufo
Teste e carapaci degli scampi
1 scalogno
1 grano di pepe nero di Selim
10 g di tartufo nero dei Colli Berici
20 g di burro chiarificato
30 g di farina 00
olio evo

Tagliare grossolanamente lo scalogno e rosolarlo in una casseruola con un cucchiaio di olio evo, unire la spezia, i carapaci e le teste degli scampi, rosolarli a fuoco vivo e schiacciare le teste, versare un litro d’acqua ghiacciata e qualche cubetto di ghiaccio, portare a bollore e continuare la cottura per altri 15’. 
Passare al cinese e mettere da parte.
Tagliare a brunoise il tartufo.
Tostare la farina in una casseruola dal fondo già caldo, unire il burro chiarificato, versare 500 ml di fumetto ed addensare. Unire il tartufo, regolare di sale e far riposare al caldo fino al momento del servizio.

Tecnica per passare al setaccio senza diventare idrofobi

Ingredienti e preparazione della terrina
6 scampi private della testa, del carapace e del budello interno.
6 fettine di lardo alle erbe
10 g di tartufo nero dei Colli Berici
30 g di soia edamame cotta a vapore per 10’

Avvolgere gli scampi con le fettine di lardo.
Tagliare il tartufo a julienne.
Ricoprire il fondo e le pareti della terrina con le fette di salmone marinato.
Imburrare la terrina, distribuire un terzo di farcia, posizionare gli scampi nel senso della lunghezza e parallelamente la soia, coprire con un terzo della farcia, distribuire gli scampi rimasti e parallelamente la julienne di tartufo, terminare con la farcia rimasta, ripiegare le fette di salmone e ricoprire completamente.
Cuocere a bagnomaria nel forno già caldo a 150°per circa 1h10’.

Sfornare ed abbattere in positivo per 24h.


 

Per il servizio
Lappare il fondo del piatto con la salsa vellutata al tartufo, posizionare una fetta di terrina tagliata con un coltello affilato e freddo, unire una quenelle di purea di broccoletto, la maionese, un grissino di pasta brisèe e semi di sesamo nero e servire immediatamente.




ENOS VENETO, è in edicola il secondo numero del nuovo magazine dedicato alla cultura del vino ed alle eccellenze del territorio

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Enos Veneto n.2, il magazine dedicato alla cultura del vino e alle eccellenze del territorio, è arrivato nelle edicole di tutta la Regione e su App store con una speciale promozione

Il numero di marzo/maggio 2017 è dedicato alla “Terra promessa”, per diverse ragioni: innanzitutto per evocare l'impegno e la passione di tanti imprenditori che decidono di investire nel mondo del vino, recuperando storiche aziende familiari o investendo nella creazione di nuove aziende. “Terra promessa” è ciò che diventa Verona nel corso di Vinitaly, manifestazione cardine per il mondo vitivinicolo internazionale, che riunisce produttori ed operatori da tutto il mondo contribuendo alla valorizzazione del vino italiano nel mondo. “Terra promessa”, ancora, sono i nuovi mercati come la Cina, nei quali i prodotti italiani hanno ancora ampi margini di crescita in termini sia quantitativi che, soprattutto, di posizionamento. 

Soave, Gambellara, Conegliano e Valdobbiadene, Piave, Montello e Colli Asolani, Colli Euganei sono i territori vinicoli protagonisti del nuovo numero, raccontati attraverso i vitigni, i vini, i percorsi e le Strade enoturistiche, i racconti dei produttori. Alla primavera, alla Pasqua e alle tradizioni ad esse legate sono dedicate le pagine di gastronomia, con un focus sugli chef veneti under 35 più promettenti. 

EnoS Veneto è disponibile anche nella versione online, con una speciale promozione che consente di leggere gratuitamente un singolo numero, semplicemente scaricando l'App “EnoS Veneto - Magazine di cultura del vino” dall'Apple Store. 
Successivamente sarà possibile decidere se acquistare il numero successivo (3,99 euro per singolo numero) o sottoscrivere l'abbonamento. Il prezzo di copertina della rivista cartacea è di 5,00 €. 

Sul sito http://veneto.rivistaenos.it/ tante notizie e curiosità sul mondo del vino e dell'agroalimentare Made in Italy.

Per informazioni: 
Ufficio stampa Feel the Food
Chiara Rizzo | chiara@feelthefood.it | 347 8519999
Serena Furlan | serena@feelthefood.it | 347 9688495

info@feelthefood.it | www.feelthefood.it

Aspettando Cheese, i formaggi Slow Food si raccontano a Cavaso

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Sono rimasti in 14, portano avanti una tradizione antica, tenacemente, ostinatamene: da maggio a ottobre, il Morlacco nasce dalla combinazione del latte della mungitura serale, scremato per affioramento, al quale si aggiunge quello intero munto al mattino. 

Carlo Petrini e Gaetano Pascale sostengono la prima rassegna territoriale che “anticipa” la manifestazione internazionale di settembre a Bra


Sabato 8 e domenica 9 aprile a Cavaso del Tomba (TV) si terrà Aspettando Cheese, il primo evento territoriale che anticipa Cheese, manifestazione internazionale dedicata al formaggio di qualità promossa da Slow Food, in programma il prossimo settembre a Bra. 

L’appuntamento è dedicato ai formaggi di qualità del Triveneto e si concentrerà sulle, spesso piccole, produzioni locali: dal Morlacco all’Asiago stravecchio, dal Monte Veronese di malga al Puzzone di Moena, dal Vezzena al Casòlet a latte crudo della Val di Sole, dal Botìro di Primiero di malga al Forma di Frant della Carnia

Saranno affrontati i temi  della produzione alimentare e della sua sostenibilità per le persone, il territorio e gli animali. Si parlerà, quindi, di salute, tradizione e unicità: tutti gli ingredienti che rendono concreto il significato del made in Italy.  


Il programma si aprirà il sabato alle 18.45 nella sala consiliare di Cavaso, con un aperitivo chiacchierato: un confronto su idee e proposte per valorizzare le produzioni biologiche e promuovere la biodiversità. Una “degustazione narrata”, in compagnia di Lucio Carraro, autore de “Il senso della Lumaca e altre storie”, dell’esperto di Slow Food Antonio Alberton  e di  Claudio Gazzola,  chef dell’Osteria alla Chiesa di Monfumo. 

La domenica – per tutta la giornata, in concomitanza con la tradizionale manifestazione Cavaso in Fiore – una mostra mercato animerà piazza Benedettini, proponendo degustazioni guidate: occasioni per scoprire più da vicino e, per chi lo desidera, acquistare i formaggi dei presidi Slow Food del Triveneto, insieme ai formaggi che, rispettando il disciplinare di Cheese, dicono no agli allevamenti intensivi e mettono al centro la qualità e l’attenzione al biologico.

E se aveste voglia di provare il Morlacco come ingrediente vi lascio con una ricetta Ravioli di Morlacco semistagionato e noci con arancia candita alla senape e polvere di cappero.


Vi aspettiamo!


Pasqua ebraica e il Gefilte Fish per una tavola che diventa altare

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“Ma non mangerete quelli che ruminano soltanto o che hanno soltanto l’unghia bipartita, divisa da una fessura e cioè il cammello, la lepre e l’irace, che ruminano ma non hanno l’unghia bipartita; considerateli immondi; anche il porco, che ha l’unghia bipartita, ma non rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri.. Non mangerete alcuna bestia che sia morta di morte naturale; la darai al forestiero che risiede nelle tue città, perché la mangi, o la venderai a qualche straniero, perché tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio. Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre.” Deuteronomio, 14, 7-8 e 21

Esiste una cultura alimentare ebraica?
Le regole alimentari ebraiche sono stabilite dalla Torah, i cinque libri biblici (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), che riportano le norme che si applicano anche a tutti gli aspetti della vita e trasformano l’atto del cibarsi da un atto di semplice sopravvivenza ad un rito sacro, un momento della quotidianità che aiuta a percorrere la via della perfezione.
La base della codificazione delle regole alimentari stabilite dalla Torah si trova nel concetto di kasherut, che significa adeguatezza e che indica la possibilità o meno di un cibo ad essere consumato da un ebreo osservante.
Nel corso del tempo le regole sono poi state commentate ed interpretate dai rabbini nel Talmud, ovvero la raccolta delle loro discussioni sui significati e sull’applicazione dei precetti divini.
Perché tutto questo? La tavola viene vista come un altare e le regole che normano la preparazione di un pasto, unitamente a tutte le regole che normano la quotidianità, concorrono a costruire una guida per l’esistenza con modelli di comportamento che, se osservati, porteranno alla qedushah, la perfezione, la santità. Un’aspirazione raggiungibile da ogni singolo membro della comunità.


Se la tavola corrisponde all’altare, le feste religiose sono fondamentali per la vita ebraica e comportano la preparazione e il consumo di piatti particolari, rispettando un simbolismo che corrisponde alla festa medesima e alla stagionalità, essendo anche molte feste pagane assorbite successivamente dalle consuetudini religiose.
Eccole: Shabbat (Sabato), Rosh ha-Shanah (Capodanno ebraico), Yom Kippur (Giorno del Perdono), Sukkot (Festa delle Capanne e del Raccolto), Hannukkah (Festa delle luci), Tu BiShvat (Capodanno degli Alberi), Purim (Festa delle Sorti), Shavuoth o Festa delle Primizie, Tish be-Av, Shabbat Bescialach, Mimouna e infine Pesach (Pasqua Ebraica), una delle più importanti.
La Pesach si celebra il 14 del mese di Nissan (marzo-aprile) e dura otto giorni per la diaspora e sette in Israele. Sta ad indicare il “passaggio, salto” che fece Dio, passando oltre le case degli ebrei segnate dal sangue dell’agnello sacrificale, risparmiando i loro primogeniti dalla morte che colpì invece tutti i figli maggiori dei egiziani.
Pesah commemora soprattutto il passaggio dalla schiavitù alla libertà ed anticamente era anche una festività agricola che celebrava la raccolta dell’orzo.
Per tutta la durata della festa è divieto assoluto assumere cibo lievitato (chametz) e nei giorni precedenti la casa viene pulita attentamente da cima a fondo, alla ricerca di ogni singola briciola, che dovrà poi essere bruciata. Da qui alle pulizie di primavera il passo è davvero breve.


La cena pasquale, Seder, si svolge rispettando scrupolosamente il rituale regolato dalla tradizione e la tavola viene apparecchiata con un servizio di piatti speciale che vede nel suo protagonista principe il piatto o vassoio (Ke’arah) del Seder, che raccoglie i sei cibi simbolici. Se nella tavola dello Shabbat le Hallah fanno bella mostra di sé coperte da un telo bianco, durante la Pesah saranno i pani azzimi, le matzot, ad essere condivise e al centro del tavolo, nella misura di tre pezzi.
Ecco gli “ingredienti” del piatto del Seder, oltre ai tre pezzi di azzime:
Maror, erba amara, che simboleggia l’amarezza della schiavitù patita in Egitto. In italia vengono usate le diete e l’insalata romana, dalle radici amare;
Charoset, un impasto di frutta secca e noci tritate e mescolate (una sorta di marmellata solida), che ricorda la  malta utilizzata dagli schiavi ebrei. Si racconta che esistano tante ricette per il charoset tante quante sono le famiglie ebraiche;
Karpas, il sedano, che viene intinto nell’acqua salata e che simboleggia le lacrime degli schiavi ebrei;
una zampa di agnello o un osso, anche di pollo, che simboleggia il Korban Pesach, il sacrificio dell’agnello offerto al tempio, arrostito e consumato nella notte della veglia;
Beitzah, un uovo sodo, in ricordo del lutto per la distruzione del tempio e memoria dei tempi duri sostenuti dagli ebrei durante la permanenza nel deserto;
in qualche famiglia si prepara anche con la lattuga.
La tavola, inoltre, dovrà essere apparecchiata con:
  • una Haggadàh per ogni commensale (testo rituale, i primi a raccogliere illustrazioni furono quelli pubblicati a Venezia e ne esiste una risalente al XIV secolo, di Sarajevo, che riporta l’immagine della Terra rotonda);
  • un bicchiere di vino bianco per ogni commensale più uno per il profeta Elia;
  • un bicchiere per il vino rosso e ogni commensale deve berne almeno quattro, che corrispondono ai quattro verbi pronunciati da Dio nei confronti del popolo schiavo: “Io vi farò uscire, io vi libererò dai pesanti fardelli, io vi salverò, io vi sceglierò come popolo.” (Esodo 6,6-7)
 

La ricetta che vi propongo oggi è un piatto tipico della cucina ebraica ashkenazita, servito anche durate lo Shabbat, in quanto aiuta a rispettare una delle 39 azioni proibite del giorno festivo. Il Gefilte fish, infatti, si presenta sotto forma di polpetta che evita quindi la necessità di dividere le spine dalla polpa. Un piatto molto consueto, che si trova già pronto negli scaffali dei supermercati e che originariamente nei paesi dell’Est veniva servito con dello zucchero, visto le importanti coltivazioni di barbabietola, e che è possibile accompagnare anche con abbondante salsa di rafano.

Portata: primo piatto, pesce
Dosi: per 8 persone
Preparazione: 30’
Cottura: 1h
Difficoltà: media
Vino consigliato: vino bianco e rosso Kosher

Ingredienti per le polpette
800 g di pesce bianco (nasello, merluzzo, carpa) 
2 cipolle bianche 
2 cucchiai mandorle tostate e ridotte a farina
2 cucchiai di farina di pane azzimo
2 uova Bio
sale iodato 
pepe bianco macinato al momento

Ingredienti per il brodo di pesce
teste e lische di pesce
1 cipolla intera 
2 carote Bio
2 coste di sedano
Olio extravergine d’oliva colli euganei o comunque delicato
grani di pepe nero

Preparazione
Mondare e tagliare le verdure a tocchetti e una delle due carote in rondelle.
Tostare in una casseruola le lische e le teste con un paio di cucchiai di olio, versare due litri di acqua fredda, unire le verdure per il brodo, portare e bollore e far sobbollire per 30’.
Raccogliere le rondelle di carota con una schiumaiola e filtrare il brodo.
Nel frattempo in una ciotola unite i filetti di pesce frullati con un mixer assieme alla farina di pane azzimo, la farina di mandorle, le due cipolle, le uova, regolare di sale e pepe e mescolate ottenendo un composto sodo. Regolare di sale e di pepe.
Con le mani inumidite comporre delle polpette di media grandezza e utilizzando una casseruola bassa e larga cuocerle nel brodo caldo per 30’.
Con la schiumarola raccogliere delicatamente le polpette, spostarle nel piatto di servizio e trasferite il brodo in frigo, così che si solidifichi un pochino, diventando gelatina (se avete fretta potete aggiungere un pizzico di agar-agar, un addensante naturale).
Servite le polpette decorate con le rondelle di carota e con il brodo di pesce.


Bibliografia
A. Toaff, Mangiare alla Giudia – La cucina ebraica in Italia dal Rinascimento all’età moderna
G. Ascoli Vitali-Norsa, La cucina nella tradizione ebraica
R. Calimani, Storia del Ghetto di Venezia
Giuliana Giannetti, La mia cucina Kasher
J. Rundo, Shalom Salaam – Feste e ricette dal Medio Oriente
G. Rorato, Origini e storia della cucina veneziana
Il rabbino Pino Arbib intervistato da Chiara Ugolini, Slow Food 17/2006
Scritti e testimonianze dal Corso di Cucina Ebraica, La Cucina del Ghetto, Venezia 2013
M. Ovadia, Il conto dell’ultima cena – Il cibo, lo spirito e l’umorismo ebraico
www.aifb.it

Cocktail di asparagi con zenzero e uova in camicia

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È nato prima l’asparago o la sua leggenda? 

Se ne narrano le mitiche origini da un corno di ariete piantato nel terreno e successivamente germogliato nel III millennio a.C. ma già Apicio, pubblicando la sua opera enciclopedica “De Coquinaria” nel ‘300 a.C., riportava tante e varie ricette, in quanto gli antichi Romani ne erano molto ghiotti e lo consideravano il re degli ortaggi.
Re Sole, Luigi XIV, nella sua reggia manteneva oltre cento cuochi ed i migliori della brigata dovevano dedicare la loro maestria solo alla coltivazione dell’asparagiaia regale in quanto il sovrano ne era golosissimo e pretendeva di averne a disposizione tutto l’anno.

E noi siamo da meno? Certo che no! Anche l'Asparago si fa social ed ospiterà nei prossimi giorni un gruppo selezionato di appassionati del territorio che al motto di #GermogliDiPrimavera comunicheranno prodotti tipici, turismo e comunicazione digitale durante le prossime settimane.
Nel frattempo io torno in cucina, in quanto Luigi mi richiama all'ordine per preparare una ricetta semplice e sofisticata, reinterpretazione di un classico come uova ed asparagi, e degna di un re.

Cocktail di asparagi con zenzero e uova in camicia

Portata: antipasto
Dosi per 1 persone
Difficoltà: semplice
Preparazione: 10'
Cottura: 2' più il tempo del riposo

Ingredienti
2 asparagi di Badoere o bianco di Cimadolmo
1 uovo bio 
aceto di vino bianco
2 g di zenzero fresco
sale iodato finissimo 
pepe nero macinato al momento
Olio extra vergine di oliva delicato

Preparazione
Portare a bollore dell’acqua una pentola capace di almeno 10 cm di altezza con 3 cucchiai di aceto.

Aprire le uova singolarmente in un piattino o ciotolina e farle scendere lentamente nell'acqua che bolle delicatamente, raccogliere l'albume attorno al tuorlo aiutandosi con un paio di posate e cucinare per meno di due minuti.

Raccogliere l'uovo con un mestolo forato e porlo in una bacinella con dell'acqua ghiacciata per 10’. Eliminare l’albume in eccesso rifilando le uova con un coltellino.
Grattugiare finemente lo zenzero.
Preparare la vinaigrette: in una ciotola unire tre cucchiai di olio evo, lo zenzero grattugiato, sale emulsionando il tutto con una frusta piccola.

Pulire con un pelapatate gli asparagi eliminando la parte esterna più coriacea, tagliare un paio di cm dalla base e sempre con il pelapatate ottenere una julienne gli asparagi, come degli spaghetti, e condirli con una vinaigrette.
  
Comporre il piatto utilizzando dei vecchi bicchieri da champagne oppure da martini o delle ciotoline individuali: porzionare gli asparagi crudi ed appoggiare l'uovo in camicia, appena inciso sulla superficie.

Decorare con un pizzico di sale, una macinata di pepe nero ed una fogliolina di finocchietto o aneto o timo, se si desidera.

"Il Veneto tra grandi donne e razzie napoleoniche": mercoledì 3 maggio Alessandro Marzo Magno ospite del birrificio Follina

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Birra Follina e Libreria La Pieve presentano
Il Veneto tra grandi donne e razzie napoleoniche

Mercoledì 3 maggio 2017, ore 20:30 
presso la sede di birra Follina
Via Pedeguarda 26, Pedeguarda di Follina (TV)


Una serata dedicata alla letteratura, alla storia e alla cultura all'interno del birrificio artigianale Birra Follina: lo scrittore e storico Alessandro Marzo Magno presenterà infatti i suoi ultimi libri, “Serenissime. Le donne illustri di Venezia dal medioevo ad oggi” (Biblioteca dell’Immagine) e “Missione Grande Bellezza. Gli eroi e le eroine che salvarono i capolavori italiani saccheggiati da Napoleone e da Hitler” (Garzanti). 

Il libro “Serenissime. Le donne illustri di Venezia dal medioevo ad oggi” parte dal genere ovvero l'essere femmina di Venezia.
Tra le tante città rappresentate da leoni, destrieri, volatili – maschi e crudeli – la Serenissima si contraddistingueva per essere raffigurata in forma di giustizia: femmina e misericordiosa. Forse è per questo che a Venezia le donne hanno trovato più spazio che altrove. La parità fra i sessi era al di là da venire, ma nella millenaria storia della repubblica si susseguono figure femminili che hanno ricoperto un ruolo fondamentale negli avvenimenti della loro epoca e in quelli successivi

Questo libro ripercorre le vite di dodici donne, dal medioevo ai giorni nostri: da Marietta Barovier, la vetraia che inventa le perle di vetro colorate, a Patty Pravo, la cantante da 110 milioni di dischi. Alcune di loro sono figure di cui tutta Italia dovrebbe andare fiera: Elena Lucrezia Corner Piscopia, la prima laureata del mondo, Elisabetta Caminer, la prima direttrice di giornale in Italia, Giuliana Coen Camerino, la creatrice del made in Italy. Quasi tutte però hanno un tratto comune: sono state più o meno dimenticate. 
Questo libro vuole mantenerne viva la memoria.


L'evento, organizzato in collaborazione con la libreria La Pieve di Pieve di Soligo (TV), è ad ingresso libero, e sarà seguito da una degustazione di birre artigianali Follina accompagnata da un piccolo buffet. 

Per informazioni: 
Birra Follina - Via Pedeguarda 26, Pedeguarda di Follina (TV)
T. 0438 82461 – Mob. 335 413692 - info@birrafollina.it 

"ECCELLENZE TREVIGIANE A TAVOLA", il convegno della Delegazione di Treviso Alta Marca dell'Accademia italiana della Cucina

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La Delegazione Treviso Alta Marca dell'Accademia Italiana della Cucina ha raggiunto il traguardo dei dieci anni di vita e Nazzareno Acquistucci, il suo delegato, ha ritenuto opportuno, nel solco della migliore tradizione accademica, di festeggiarlo con un convengo che in qualche modo rimarcasse la presenza sul territorio e la vocazione culturale dell'Accademia.




Il convegno, organizzato dal prof. Danilo Gasparini, avrà come tema "Eccelenze trevigiane a tavola" e si terrà ad Asolo, presso la Sala Consiliare in Piazza G. D'Annunzio 1, con il seguente programma

"ECCELLENZE TREVIGIANE A TAVOLA"

09.00 - 09.30 Arrivo partecipanti al Convegno

09.30
Saluto del Delegato Nazzareno Acquistucci 

09.35 
Saluto delle Autorità presenti

09.45 
I numeri primi del Prosecco (Oltre il Prosecco), Dott. Umberto Marchiori, produttore

10.15 
Gli ultimi formaggi di malga, Alessandro De Conto, responsabile dell'Azienda Valsana 

10.45 
Pausa caffè (30 minuti)

11.15 
Patate e ........ compagni (fagioli, piselli, marroni, asparagi, ecc,), Prof. Paolo Sambo

11.45 
Dal campo alla cucina: la parola allo Chef, Nicola Dinato del Ristorante Feva (Castelfranco) 

12.15 
Eccellenze venete in rete, Anna Maria Pellegrino, Presidente dei Food Blogger (AIFB)
12.45
Intervento conclusivo del Segretario del Consiglio di Presidenza Renzo Rizzi dell'Accademia Italiana della Cucina

Vi aspettiamo sabato 27 maggio, alle ore 9.30 presso la Sala Consiliare del Comune di Asolo.


Flan “affumicato” di caciotta, scampi e foglie di capperi con scalogni e champignon

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Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova» e la prova è che il concorso “Saranno famosi” di Inalpi, realizzato con Slow Food e Altissimo Ceto, è diventato un appuntamento annuale con la qualità.
Come in un libro della celebre scrittrice i personaggi che rendono possibile lo svolgersi del racconto sono dieci tra i migliori Sous Chef, selezionati dalla Guida Osterie d’Italia 2017, e trenta Blogger. Hanno dato vita a 10 squadre per sfidarsi, a colpi di ricette, proponendo dei menù completi in cui i protagonisti saranno i prodotti Inalpi; Burro e burro chiarificato, Fettine di latte, Formaggini ed altri Formaggi Inalpi, grazie ai quali interpretare la gastronomia del nostro territorio, che non è solo cibo ma anche storia e geografia.


Le dieci squadre dovranno interpretare il menù con la tradizione del proprio territorio di appartenenza e per me è stato un pochino complesso: faccio parte della squadra che rappresenta il Veneto, ma la mia cucina, come la mia idea di tradizione, è da sempre terribilmente contaminata. Ma a questo ci arriveremo poi. Nel frattempo vi presento i componenti della brigata: Alessio Loppoli, il nostro sous-chef del ristorante Al Segnavento, un locale ospitato da un'elegante casa di campagna nella terraferma veneziana. Mentre le blogger in brigata sono come me sono: Cristina Papini, mamma, moglie padovana, autrice di Galline Padovane, dove racconta, con la dolcezza che la contraddistingue, Padova e il territorio veneto nelle sue molteplici espressioni produttive ed Elisa Di Rienzo, di Vicenza, mamma ed archittetto, che così si definisce nel suo blog Il fior di cappero: “mi piace sorridere, sono un’ottimista, determinata, amo il sole e il mare, l’armonia. Mi piace creare, chiacchierare attorno ad una tavola e mettere il cuore in tutto quello che faccio.”


Elisa ed Alessio hanno già presentato le loro creazioni e in attesa del dessert, che preparerà Cristina, eccomi a Voi con la seconda portata del menù: “Flan “affumicato” di caciotta, scampi e foglie di capperi con scalogni e champignon”.
Dopo essermi confrontata con la brigata, per una proposta giustamente armonica, mi sono lasciata inspirare dall’idea di accoglienza che nella mia regione, dalle Dolomiti al Delta, si esprime da sempre ai massimi livelli. Accoglienza che in cucina è fortemente influenzata  dalle "contaminazioni gastronomiche", adottate con entusiasmo, come nel caso del mais, del fagiolo di Lamon e della gallina Padovana tra le molte che sono diventate nel tempo  consuetudine gastronomica. Tradizione, appunto. 
Mi sono immaginata di essere una golosa viaggiatrice che faceva tappa al Lido, in concomitanza con il Festival del Cinema (il prossimo sarà il settantaquattresimo) e, tra una proiezione ed una serata di gala, faceva tappa nell’entroterra veneto, per stupirsi dinnanzi alla varietà ortofrutticola, ai giorni nostri rappresentata da Opo Veneto, che dal 2001, per volontà di due storiche cooperative di Zero Branco (Treviso) e di Sottomarina di Chioggia (Venezia), raccoglie il meglio della produzione grazie alla collaborazione di oltre quattrocento soci agricoltori. Ed infatti nel Veneto si produce, oltre a ben undici Igp, anche la metà dei funghi consumati in Italia, tra cui lochampignon, il fungo “campagnolo”che mi ha riportato nella cucina del sous-chef, situata appunto nell’entroterra veneziano. 
Un piccolo viaggio virtuoso, quindi, e goloso che, tra terra e mare, è terminato apparecchiando una tavola rustica, abbellita con le stoviglie da grand hotel, trovate in chissà quale mercatino.

Buon appetito e buon viaggio tra le storie e le ricette dei componenti delle dieci squadre.


R - Flan “affumicato” di caciotta, scampi e foglie di capperi con scalogni e champignon

Portata: secondo piatto
Dosi per 4 persone
Preparazione: 20’
Cottura. 40’
Difficoltà: media

Ingredienti per i flan
250 g di caciotta Kremina Inalpi
150 g di panna
6 scampi freschi
3 albumi bio (circa 90 g)
3 foglie di cappero
1 cucchiaino di colatura di alici
sale affumicato
pepe bianco di Sarawak affumicato
olio essenziale di noce moscata
polvere di cappero

Ingredienti per la bisque
Le teste ed i carapaci degli scampi, lische e teste di scorfano se a disposizione
due noci di burro chiarificato Inalpi
30 ml di Cardenal Mendoza
1 litro di acqua freddissima
3 grani di pepe nero
farina 000, setacciata

Ingredienti per il contorno
200 g di champignon
200 g di scalogni
timo fresco
burro chiarificato Inalpi
sale affumicato
pepe bianco di Sarawak affumicato

Procedimento
Pulire i crostacei, eliminare il budello esterno, tagliare in piccola dadolata, unire un pizzico di sale, una macinata di pepe, la colatura di alici, una spruzzata di olio essenziale di noce moscata, coprire e mettere da parte in frigo.
Pulire la caciotta della crosta esterna e pesare 250 g di materia pulita.
Tagliare a julienne e poi tritare finemente le foglie di cappero scolate dall’acqua di conserva.
In un mixer frullare brevemente la caciotta con la panna ed a parte unire le foglie tritate, gli scampi, la polvere di cappero, gli albumi e mescolare delicatamente fino ad ottenere un composto omogeneo. Regolare di sale e di pepe.
Versare il composto in quattro stampini monodose leggermente imburrati all’interno, coprire la superficie con un foglio di carta forno leggermente imburrato e del diametro della cocotte e cucinare nel forno statico già caldo a 170° per 20’ o fino quando il composto si sarà rappreso.
Far raffreddare.
Nel frattempo preparare la bisque: sciogliere il burro chiarificato in una casseruola dal fondo pesante, tostare le teste ed i carapaci degli scampi  e dei pesci a disposizione schiacciandoli con un cucchiaio di legno e fino a farli dorare, sfumare con il cognac, spolverare la farina setacciata, versare un litro di acqua freddissima (magari con qualche cubetto di ghiaccio), portare ad ebollizione, schiumare e far sobbollire per 30’. Filtrare e far ridurre della metà. Mettere da parte ed eventualmente addensare con fibra per il servizio
Mondare gli scalogni e tagliarli a spicchi, pulire con un panno umido i funghi e tagliarli a metà.
In una casseruola dal fondo pesante far sciogliere una noce di burro, unire gli scalogni, sfumare con un cucchiaio di bisque e farli brasare per 6-8’, unire i funghi, il timo e continuare la cottura per altri 4-5’. regolare di sale e di pepe.
Impiattare lappando il piatto con la bisque, posizionare al centro il flan, le verdure come contorno e decorare con il fior di cappero.
Si serve tutto a temperatura ambiente.
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